Milano Andata e ritorno. Loc e Pid

Milano, 18 aprile 1975.  E’ tarda sera quando torni al tuo Residence in Via Corridoni, un ex albergone di tredici piani dall’aspetto pretenzioso e dalle stanze molto piccole.

E’ vero, ragionandoci a mente fredda lo ammetti: hai fatto una piccola stronzata!

Eri seduto sulle scale dell’ingresso principale della Statale quando li hai visti arrivare.

Calmo, tranquillo, tu eri in buona fede.

 

Eri a Milano da un anno, per lavoro, e avevi conosciuto degli Obiettori di coscienza, come te.

Cominci a frequentare la Federazione cittadina della LOC, diventandone in breve tempo il tesoriere.

 

Il lavoro in Federazione si rivelava interessante. Erano anni di fermenti. 

A Milano la LOC, federata al Partito Radicale, era molto attiva. Manifestazioni, assemblee, concerti, congressi.  

Un pomeriggio eri con altri attivisti antimilitaristi/obiettori e stavate operando un sit-in sulle scale del Tribunale di Milano, con cartelli esplicitamente contrari alle alte gerarchie militari, per la liberazione di alcuni obiettori arrestati il giorno prima. Foste fermati e identificati tutti.

E ancora, concerti e spettacoli di solidarietà e finanziamento alle attività.

Battiato al Teatro Lirico, De Gregori e Dalla all’Arena del Castello Sforzesco e tanti altri.

Così, ti ritrovavi puntualmente con la cassetta degli incassi fra le mani, scortato da due giovanottoni alti quanto te e ben muscolosi. 

Al Congresso Nazionale, che si tenne nella Sala Assemblee della Provincia, ti rendesti conto che “siccome tutto il mondo è paese”, anche in quella situazione ci furono i soliti giochi di correnti: far iscrivere alla LOC dei perfetti sconosciuti per assicurarsi i voti alle mozioni.

Rimanesti un pò deluso, ma continuasti nell’impegno.

 

Ma torniamo ad oggi.

L’altro ieri Claudio Varalli è stato colpito a morte da un colpo d’arma da fuoco esploso da Antonio Braggion, neofascista; ieri Giannino Zibecchi è morto, investito da un camion della polizia.

In città la tensione è alle stelle. Per il pomeriggio è indetto un corteo antifascista in corso XXII Marzo, nei pressi di via Mancini, sede della Federazione del MSI, luogo dove è stato investito Zibecchi.

 

Alla fine del turno di lavoro ti sei precipitato sul posto.

L’atmosfera era tesissima.

Da un lato i manifestanti, molto incazzati, diretti in via Mancini.

Dall’altra il cordone dei poliziotti, in pieno assetto anti-sommossa, attenti a non far avvicinare il gruppo.

In mezzo, tu e tanti altri, con le vostre macchine fotografiche.

In verità, era la prima volta che ti ritrovavi, per scelta, in una situazione del genere.

Anche se, l’anno prima, a Napoli, ti eri ritrovato a fare da servizio d’ordine a un corteo, spalla a spalla con “marcantoni” di un metro e novanta a tutela dei manifestanti.

Oggi era diverso. Non eri fra i manifestanti, eri da solo e per giunta c’erano due ragazzi inconsapevolmente morti, da onorare.

L’aria pesante si tagliava a fette.

Sarebbe potuto succedere di tutto.

E sarebbe stato un danno per tutti.

Dopo un paio d’ore di trattative, la tensione si stemperò. La sede politica fu fatta chiudere ed evacuare.

A quel punto il corteo s’iniziò ad allontanare e tu li hai seguiti per un tratto.

Sono le nove passate e ti ritrovi nei pressi della Statale. Hai saputo che ci sarebbe stata la loro presenza in quella zona.

Allora ti alzi su un muretto della scalinata per vedere meglio.

Eccoli, arrivano. Era la prima volta che li incontri ‘dal vivo’.

Altre volte li avevi seguiti durante qualche Telegiornale serale, intervistati sempre di spalle o con il volto coperto.

Quella sera sono lì, davanti a te.

E allora ti viene la voglia (curiosità? presenzialismo? vanità?) di… scattare!

Come fai spesso, in tante occasioni, pubbliche o private, impegnate o ludiche.

Come hai fatto la domenica precedente con il lago e le rane, come hai fatto qualche ora prima in via Mancini.

 

Questa volta, però, non hai considerato il tutto.

Superficialmente, ingenuamente e poco professionalmente hai scattato con il flash, che si è notato subito.

Dovevi aspettarti, com’era prevedibile e opportuno (poiché nessuno ti conosceva), che qualcuno ti venisse a chiedere conto di quello scatto.

Dopo un pò di discussioni, sei riuscito a convincerli della tua buona fede. Hai tenuto la macchina ma hai perso il rullino con tutti gli scatti di quei giorni.

Forse è in quel momento che hai dedotto di non essere destinato a una carriera di foto-reporter. 

 

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