Paolo Jannacci ha ricordato il padre in uno splendido concerto al Teatro Dal Verme di Milano
“Quando papà mi ha insegnato a suonare, mi diceva sempre: non staccare in modo brusco, sii dolce e suona note dolci. Poi ho studiato, ho avuto una formazione classica. Ma tutto per me è cominciato con lui da quegli insegnamenti per trattare lo strumento con dolcezza”
MILANO – A volte aver avuto un padre artista, famoso e amato può essere un peso, una cappa opprimente per tutta la vita. E’ il prezzo che i figli “pagano” quando hanno avuto la fortuna di avere un padre geniale ed unico, un simbolo della citta di Milano. Un padre come Enzo Jannacci, musicista eccelso, compositore straordinario e struggente, chirurgo di fama mondiale e creatore del cabaret e della moderna comicità milanese. Per il figlio Paolo, 42 anni, eccellente pianista e compositore, non si può parlare di una vita vissuta all’ombra del grande padre. In questo caso, la sua statura artistica è ben definita e matura. Paolo Jannacci è un artista che vive di luce propria, pur avendo avuto una straripante ed eccentrica figura di riferimento come quella di Enzo Jannacci.
Per ricordare l’opera del padre proprio nel giorno del suo compleanno, Paolo ha organizzato un concerto al Teatro Dal Verme di Milano. Nonostante sia un uomo schivo e timido, Paolo Jannacci ha fatto le cose alla grande senza scadere nella facile retorica o nel sentimentalismo. Ha chiamato ottimi musicisti come il batterista Stefano Bagnoli, il bassista Marco Ricci, il chitarrista Sergio Farina e il trombettista Daniele Moretto. In più in alcuni brani il pianista si è avvalso dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano. Lo show è iniziato con due splendide composizioni di Paolo Jannacci dedicate alla figlia e alla moglie. Poi è iniziato il meraviglioso viaggio umano con le canzoni del padre, alcune delle quali brillano come lucide storie di vita di persone semplici, umili che vivono ai margini della società. Enzo Jannacci ha sempre raccontato in maniera originale e struggente le vite degli ultimi: dai barboni, agli emarginati e a tutte quelle persone che non riescono ad adattarsi alla vita “normale”. Le sue canzoni partivano da un dettaglio apparentemente insignificante per poi arrivare al senso della vita così carico di angosce e solitudini.
Grande commozione nel pubblico per brani come “Vincenzina e la fabbrica”, “L’uomo a metà”, la memorabile “Quelli che…”, “Il tassì” e “El purtav i scarp de tennis”. Gran finale con una splendida versione di “Vengo anch’io” in cui il pubblico del Teatro Dal Verme ha partecipato con grande entusiasmo.