Indagine intorno ai suicidi dei piccoli imprenditori – Prima parte

ROMA – I signori dei castelli di carte – I giornali ne parlano da giorni. Anche Monti il 18 aprile ne ha parlato: parliamo dei suicidi che stanno avvenendo in Europa, soprattutto in  Grecia e in Italia, la cui causa scatenante sembra essere la crisi economica.

In realtà  il Presidente del Consiglio ha evocato solamente i suicidi che si sono succeduti negli ultimi tempi in Grecia: «Ci battiamo ogni giorno per continuare a evitare un drammatico destino come quello della Grecia. (…) Ci sono stati tagli enormi nel numero dei dipendenti pubblici, negli ultimi due anni, ci sono stati 1725 suicidi, questo è quello che in Italia cerchiamo di invertire per non precipitare in quel precipizio».

Monti ha fatto il suo lavoro di retore con l’unico scopo di avvertire che o si fa come dice lui oppure ci aspetta un bel suicidio di massa. Però si è scordato un particolare: dall’inizio dell’anno, in Italia, causa crisi economica, ogni giorno c’è stato un suicidio. Fatti due calcoli e pensando che la nostra crisi è solo all’inizio, si può constatare che siamo esattamente sulla stessa strada dei greci … nonostante stiamo seguendo, ob torto collo,  pedissequamente i suoi ‘consigli’.

In questo articolo però si vorrebbe lasciar alle spalle queste ‘amenità presidenziali’ per andare più a fondo su questo dramma che sta assumendo forme epidemiche. Vorremmo anche, per il momento, focalizzare l’attenzione su una categoria, quella dei piccoli imprenditori che sta lasciando sul terreno un numero considerevoli di morti per suicidio.
Vorremmo fare questa ricerca in punta di piedi per non andare a toccare i sentimenti di chi ha perso una persona cara. Ci rendiamo anche conto di come potrebbe sembrare ‘impietoso’ questa volontà di sapere, ma “il medico pietoso fa la piaga purulenta” e non serve a nulla accodarci ai consolatori mediatici che sanno solo puntare il dito contro un bersaglio indefinito e acorporeo: la crisi economica. Tanto più che queste consolazioni gratuite quanto inconsistenti non fermano i suicidi.

Vediamo allora, non tanto di costruire un identikit del suicida o aspirante tale, ma di capire le motivazioni identitarie che stanno a monte di queste tragedie e conoscere, almeno a grandi linee, la realtà umana di queste persone che percepiscono la perdita del loro patrimonio come una fatale e inguaribile ferita narcisistica.
Di 71 imprenditori suicidatisi in Italia dall’inizio dell’anno, quasi la metà lavoravano nel Nordest. Il problema però in quella zona non è nuovo visto che già da un paio d’anni la Provincia di Padova ha instituito un numero anti-crisi, voluto dalla Camera di Commercio, con lo scopo di accogliere le richieste di aiuto.
Un possibile identikit dell’imprenditore disperato ce lo fornisce Manager Online che due giorni fa ha pubblicato un articolo dal titolo “Da Padova, un supporto psicologico contro la disperazione da crisi”.
Tirando evidentemente l’acqua al suo mulino il giornalista scrive: « Oltre ai giovani che non trovano un impiego, ora da aiutare ci sono gli imprenditori e i manager, quelli che la vita l’hanno trascorsa a lavorare duro, quelli che la famiglia l’hanno anche trascurata per la propria attività, quelli che, in mancanza di un’istruzione, hanno usato cervello e impegno, quelli che oggi si sentono abbandonati e sconfitti da qualcosa che è fuori il loro controllo». Quelli, diciamo noi, che, hanno fatto dell’identità imprenditoriale l’unico scopo della propria vita, trascurando, o forse annullando completamente, gli affetti umani. E non sono stati abbandonati e sconfitti da qualcosa di metafisico «che è fuori il loro controllo» ma da persone più leste e più dure di loro. Da persone che, come loro, hanno creduto nel libero mercato senza regole, il mercato inserito in un sistema economico in cui vige la regola homo homini lupus, alla quale anche loro avevano aderito con entusiasmo.

Ora non si tratta di mettere alla berlina chi non può più difendersi, si tratta di aiutare gli altri a capire in quale tunnel si sono cacciati; si tratta di far capire prima che sia troppo tardi che quel sistema al quale hanno aderito religiosamente senza pensare ad altre alternative esistenziali è una trappola. E non basta la consolazione della dottoressa Giuseppina Palmisano, assistente psicologica e manager della rete, che banalmente afferma: «Perdere il lavoro, trovarsi indebitati sono dei lutti enormi per la persona». Ci sarebbe da chiederle: ma per quale persona? Forse questa disperazione senza ritorno, che non chiameremmo propriamente lutto, è per coloro che dopo aver ‘ucciso’ la propria identità umana ora si ritrovano signori solo di un castello di carte che sta inesorabilmente crollando mostrando il vuoto assoluto che si celava all’interno di esso.
È uscito da pochi giorni il libro gioiello di Andrea Ventura “La trappola – Radici storiche e culturali della crisi economica” .

Scrive Ventura: «Quella che stiamo attraversando, infatti, è una ‘crisi antropologica’, cioè una crisi di identità che si definisce nel rapporto razionale, utilitaristico, con gli oggetti materiali, ed è priva della possibilità di sviluppare un discorso coerente sulle questioni attinenti alla socialità. (…) La trappola è più d’una. La più evidente è quella in conseguenza della quale le nostre società ci spingono a cercare il benessere e la felicità nell’arricchimento materiale, sacrificando a esso ogni altra aspirazione. I rapporti con le cose sostituiscono i rapporti con le persone che così vengono distrutti, annullati. Questo provoca un senso di inutilità e di fallimento dell’esistenza il quale, a sua volta, cerca compensazione nella dimensione economica. La crescita economica è cioè alimentata in gran parte dal suo stesso potere distruttivo».
Come si evince da queste frasi, che fanno parte della premessa al volume citato, le persone che hanno cercato il benessere e la felicità unicamente nell’arricchimento «sacrificando a esso ogni altra aspirazione» hanno dovuto distruggere i rapporti con le persone. E quando parliamo di rapporti con le persone intendiamo parlare di rapporti umani profondi e non di quella normalità disperante che vediamo in molti film che rappresentano bene il clima culturale del Nordest del nostro paese.
 
Fine prima parte

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