La gaffe di Berlusconi su Bad Godesberg, scambiato con il Gotemborg. Ma che accadde realmente nei sobborghi di Bonn?

Silvio Berlusconi, si sa, non è uomo di lettere. Laureatosi in Legge, ha trascorso la sua vita da imprenditore ed anche con un certo acume. Ma la conoscenza storica non è certo il suo forte, semplicemente, perché non è un intellettuale e non ha l’abitudine di leggere o studiare. Così la sua buffa confusione fra Bad Godesberg e Gotemborg – un lapsus tipico da discussione al Bar dello sport in un tardo pomeriggio domenicale d’inverno – non stupisce più di tanto. È anche per questo motivo che rifiuta i confronti televisivi, soprattutto in diretta. Una volta che ne affrontò uno, si ritrovò di fronte Oliviero Diliberto, titolare di una cattedra di storia del diritto romano, il quale lo corresse in una errata citazione latina. Berlusconi disse: “Guardi che l’ho studiato bene il latino”, e Diliberto: “Non si direbbe!”.

COSA SUCCESSE A BAD GODESBERG. Molto probabilmente il premier non sa o non ricorda bene cosa successe effettivamente a Bad Godesberg, non certo una vittoria del suo Milan (cosa che avvenne, invece, a Gotemborg). Si tratta di un distretto urbano di Bonn, l’ex capitale tedesca prima della riunificazione, sede di numerose ambasciate e consolati stranieri. In questo sobborgo si svolse, dal 13 al 15 novembre del 1959, il Congresso della Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD), il partito socialdemocratico tedesco, durante il quale i dirigenti misero da parte la dottrina di Karl Marx per aderire ad una visione considerata più in linea con i tempi, con l’accettazione del sistema capitalistico e del sistema parlamentare. Si trattava in pratica di abiurare dal vecchio programma elaborato ad Heidelberg nel 1925, considerando il destino della sinistra tedesca oramai distante dal ruolo di guida dell’allora Unione Sovietica.

GLI EFFETTI DEL XX CONGRESO DEL PCUS. Naturalmente, sulla decisione presa dai maggiorenti della SPD influirono le conseguenze del XX Congresso del Pcus sovietico, svoltosi fra il 14 e il 26 febbraio del 1956, durante il quale Nikita Kruscev svolse il suo famoso “Rapporto segreto” che denunciava i crimini staliniani e la necessità di una svolta che poi effettivamente non ci fu. Il XX Congresso del Pcus indusse numerosi marxisti dei partiti occidentali a rivedere molte delle loro opinioni sul comunismo sovietico. Anche in Italia la denuncia di Kruscev comportò non pochi problemi alla dirigenza del Pci, rafforzando quelle posizioni che portarono poi lo stesso Palmiro Togliatti ad elaborare una “via italiana” al socialismo, quindi ad un sostanziale sganciamento dall’Urss, poi messo in pratica concretamente con la segreteria di Enrico Berlinguer e la dottrina dell’ “eurocomunismo” a metà degli anni Settanta.

SOCIALDEMOCRAZIA AD UNA SVOLTA. La proposta di abbandonare il dogma marxista fu approvato con una larga maggioranza (324 voti favorevoli e 16 contrari). L’obiettivo della dirigenza socialdemocratica era quella di conquistare il Governo, al quale il partito non partecipava dal 1928, cioè dal lontano periodo della Repubblica di Weimar (governo di Hermann Muller). Nel dopoguerra il partito cristiano-sociale (CDU), con il suo leader Konrad Adenauer, grazie anche alla spinta propulsiva degli Stati Uniti e degli altri partner occidentali, era stato il protagonista della rinascita economica tedesca e del rapido allontanamento dal periodo nazista, vissuto dai tedeschi come un profondo trauma. Personaggi illuminati del SPD, fra i quali Willy Brandt, borgomastro di Berlino Ovest, spingevano per l’accettazione del riformismo di stampo keynesiano, strizzando l’occhio alla dottrina cristiana e quindi rifiutando il primitivo ateismo dottrinale. Il documento approvato al Congresso non lasciava dubbi sulla svolta della socialdemocrazia. Vi si potevano leggere affermazioni quali: “I comunisti soffocano in modo radicale la liberta”, oppure “Il socialismo democratico ha le proprie radici nell’ etica cristiana, nell’ umanesimo e nella filosofia classica”.

MARX RIPOSTO IN SOFFITTA. Chi ne usciva malconcio era proprio il filosofo di Treviri, autore, insieme a Friedrich Engels, del famoso “Manifesto del partito comunista” scritto nel 1848, nonché di “Das Kapital” (“Il capitale”), indubbiamente una delle espressioni analitiche più importanti della storia del pensiero non soltanto economico del XIX secolo. La SPD rivedeva, in altri termini, tutto intero il suo armamentario ideologico, non credendo più nella inevitabilità della lotta di classe e nella stessa dinamica del materialismo storico, quale metodo di interpretazione dei destini della storia. Il capitalismo si era dimostrato vincente e la dottrina keynesiana, che contraddiceva l’assunto marxiano dell’abbattimento del profitto nella logica del capitale, dimostrava come i lavoratori, con l’apporto determinante delle loro organizzazioni sindacali, potessero partecipare attivamente alla conduzione dello Stato e delle politiche economiche.

GLI EFFETTI SULL’ITALIA. La socialdemocrazia tedesca e la svolta di Bad Godesberg non produssero rilevanti effetti sugli altri partiti comunisti europei, che anzi si mostrarono molto critici sulle scelte dei dirigenti del SPD. Il Pci bollò come astruso e senza vie d’uscita la scelta riformistica attuata nei sobborghi di Bonn. Perfino Pietro Nenni e il Psi si mostrarono assai critici sull’abbandono della dottrina marxista (ma soltanto tre anni dopo, il Psi entrò nell’area di governo con la Democrazia Cristiana nella nuova formula politica del centro-sinistra, segno che il programma riformistico aveva lavorato anche nella sinistra italiana, per quanto sotto traccia). Come ha avuto modo di sottolineare il germanista Angelo Bolaffi, “nei Paesi cattolici predomina l’ elemento anarco-comunista rispetto a quello socialdemocratico riformista del Nord Europa che ha una matrice protestante e un rapporto diverso, più pragmatico, con lo Stato e la politica. In Italia, dove lo Stato è più debole di quello francese o spagnolo, le cose per il riformismo sono andate anche peggio”.

IL DESTINO DEL RIFORMISMO. Se solo si osserva lo stato della politica italiana oggi si comprende come la nascita della socialdemocrazia tedesca nel 1959 abbia avuto un ruolo rilevante sul destino della sinistra. Ancora oggi, infatti, anche se in modi non del tutto perspicui, si discute sul riformismo e sulla contrapposizione fra “capitalismo renano” e “capitalismo liberista”, cioè fra due modelli che si dividono, anche profondamente, sul ruolo del mercato e sulla totale libertà di impresa. Il superamento della dottrina marxista è, dunque, nei fatti, anche se non pochi berlusconiani ne annunciano un revanscismo per spaventare quei moderati che hanno creduto nella “dottrina di Arcore”, cioè in un fragile supporto di interessi imprenditoriali senza alcuna volontà seria di riformare il sistema politico ed economico italiano.

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