Lotito vuole il Colosseo, Della Valle ce l’ha già… ma non appartiene più agli italiani?

È sempre al mattino che le forze della ragione avanzano nelle regioni della mente per riportare ordine a ciò che il razionalismo ha sempre chiamato al ‘caos notturno’. Anche Freud  “l’imbecille”, – come lo chiama da trent’anni Massimo Fagioli, e come fare a dargli torto, – avendo affermato che i sogni o sono allucinazioni, o sono desideri peccaminosi repressi, credeva che la ragione e il ‘super io’ fossero il muro che doveva fermare quel caos irrazionale che nella notte, trovando le porte della ragione incustodite, poteva dare sfogo alle sue fantasticherie più sfrenate e socialmente pericolose.

Kafka si era accorto della pericolosità della veglia, colonizzata dalla ragione, e scrivendo ‘La metamorfosi’, e ‘Il processo’, aveva narrato di come Gregorio Samsa e Josef K. al risveglio, si ritrovino, il primo trasformato in un ‘insetto immondo’, e il secondo arrestato per una colpa misteriosa.
Cosa c’entra tutto questo con la disputa sul Colosseo tra Della Valle e quel simpaticone del patron della Lazio? C’entra, perché lo scontro, tra chi vorrebbe impadronirsi dei beni culturale e quindi dell’Arte, e coloro che nel nostro paese hanno a cuore la cultura, sta proprio nel drammatico contrasto tra sonno-veglia, razionale-irrazionale, arte-profitto, e tra l’utile e l’esigenza di bellezza.
In fondo ai cittadini non dovrebbe importare molto del fatto che un novello padrone di gladiatori da stadio o un odierno fabbricante di coturni, litighino per l’utilizzo, a scopo pubblicitario, dell’immagine dell’antico anfiteatro Flavio. In fondo, direbbe un razionalista, un’immagine non è nulla .. è solo un’immagine.
E invece, lo vedremo tra breve, questo impossessarsi dell’immagine del Colosseo prelude a ben altro. Svanito, ma non completamente l’affare acqua, i nostri capitalisti, stanno scardinando, molto lentamente per non farsi scorgere, i cardini, molto arrugginiti, che reggono ancora i portoni dei beni culturali.  Se non li si ferma, fra breve, oltre alle spiagge, i più ricchi, avranno il controllo della cultura, perché questa, dai musei, al teatri, al cinema, alla musica, all’arte in generale,  apparterrà a loro e il valore della cultura non sarà più artistico ma meramente legato ai profitti: un opera teatrale sarà valida solo se ci saranno risultati al botteghino, e così per musei ecc..
Ecco le prove: la Patrimonio SpA di Tremonti creata per dismettere edifici pubblici anche di pregio storico; la privatizzazione dei musei avanzata da Giuliano Urbani, sommerso dall’unanime sollevazione dei direttori di musei del mondo intero.

Ma c’è di più: Della Valle, lo ha detto molto chiaramente: “Noi non facciamo beneficenza”. Vale a dire questa non è una donazione, è per far soldi, punto. Al convegno, svoltosi al Teatro Argentina, la responsabile Confculture (Confindustria), Patrizia Asproni,  è stata anche lei molto chiara … e molto razionale: “ “Sono stanca del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Non ne abbiamo più bisogno. Il patrimonio culturale del Paese deve entrare nella competenza del Ministero dello sviluppo economico”.
Un colpo di spugna, razionale, e voilà: è unicamente la redditività dei beni culturali ad avere un vero valore,. Dell’arte in sé? E chi sene frega. Così viene cancellata la ricerca scientifica, artistica, archeologica. La cultura non è più in valore a prescindere dall’utilitarismo. La tutela del patrimonio è solo una grossa rottura di scatole, cose da “talebani della tutela”, come disse Andrea Carandini, quando sostituì Salvatore Settis, alla presidenza del Consiglio Superiore dei Beni Culturali.
Come sta scritto sul web de L’Unità oggi: “L’operazione-Colosseo come modello per l’ingresso in forze dei privati nei beni culturali?  “Sembrerebbe proprio di sì. Ed è inutile cercare di pensare in positivo su una faccenda del genere, sperando che le privatizzazioni possano salvare il patrimonio culturale italiano. Perché se è vero che ci sono stati mecenati dell’arte come Lorenzo il Magnifico è anche vero che è esistito Paolo III il quale, nel 1564, ordinò a Daniele da Volterra, poi chiamato il Braghettone, di coprire con dei mutandoni l’opera ‘impudica’ di Michelangelo nella Cappella Sistina.
E poi i tempi e gli uomini sono cambiati e la realtà sociale ed economica di questi ultimi anni ci suggerisce che le forze della globalizzazione selvaggia, tra le quali stanno in bella mostra i nostri geni della Confindustria, ridurranno l’arte a sfogo consumistico o, nella migliore delle ipotesi,  a catarsi aristotelica, vale a dire ammirazione di qualcosa di mistico e irraggiungibile, che calma l’ansia di propria possibile creatività o, pericolosissima, realizzazione di sé.
Gli artigli adunchi della Confindustria non rappresentano certo un movimento irrazionale e quindi con questi movimenti delinquenziali, si può cadere nel mostruoso razionalismo berlusconiano che, a palazzo Chigi, ha fatto rimettere pene e mani, alle statue  del 175 d. C.,  che rappresentano Marte e Venere, infischiandosene delle regole del restauro che vietano l’alterazione delle opere d’arte.

I colonnelli dell’imprenditoria si spostano nei territori di conquista del bene pubblico come cavallette in cerca di cibo. Questi imprenditori, non sono come quei, pochi, imprenditori mecenati degli anni cinquanta/sessanta, che creavano intorno a loro un tessuto sociale ricco anche di cultura, questi si muovono razionalmente per il mondo globalizzato razziando acqua, petrolio,  risorse naturali, e ora, in Italia, saccheggiando il bene culturale pubblico. Il trucco è semplice: prima corrompono tutto ciò che è corrompibile, finanziano politici idioti e quindi manovrabili, poi affermano che questi sono corrotti e incapaci di amministrare e governare e quindi si mettono loro al governo del paese.
Fra un po’, come già auspicato da Berlusconi, che di tutto questo è stato il pioniere, i capitani di industria non avranno più bisogno nemmeno della casta politica prima asservita e defraudata da qualsivoglia identità e quindi posta a fare da cuscinetto tra loro e la società civile. Se riusciranno nel loro intento l’aquila imbalsamata, simbolo della Confindustria sostituirà il garrire della bandiera italiana. Troppo colorata, libera nel movimento, e quindi caotica, per questi uomini grigi che pensano, razionalmente, solo al profitto.

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