Le “clausole di salvaguardia” entrano nell’ordinamento nel 2002, quando con la riforma della contabilità pubblica vennero inserite nel bilancio per coprire le “spese previste”, aleatorie rispetto a quelle “autorizzate”, ripescate ed imposte con la crisi del 2011 dall’UE con il fiscal compact, approvate dal governo Berlusconi, coi decreti legge 98 e 138/2011 dalla razionalizzazione della spesa sociale, con 20 miliardi già iscritti a bilancio come entrata entro il 30 settembre 2012.
Il governo Monti trovò parte di quei 20 miliardi e decise con il decreto legge 201 del dicembre 2011 che, invece di far scattare il taglio delle agevolazioni fiscali, fosse preferibile prevedere un aumento dell’Iva come misura di salvaguardia, con l’Iva che passò dal 21% al 22%, ad ottobre 2013, durante il governo Letta, che lasciò in eredità con la legge di stabilità 2014 (comma 430), un’altra clausola di salvaguardia con cui si disponeva che, se la spending review o l’aumento delle entrate non avessero portato al raggiungimento degli obiettivi previsti, (rispettivamente 3 miliardi di euro per l’anno 2015, 7 miliardi per l’anno 2016 e 10 miliardi a decorrere dal 2017), i soldi sarebbero stati trovati con una diminuzione delle detrazioni e delle agevolazioni o con un aumento delle imposte. Il governo Renzi, con la legge di stabilità per il 2015, “sterilizzò” – cioè rese inefficace – la clausola di salvaguardia ereditata per quell’anno. Allo stesso tempo ne introdusse una nuova (comma 718), che consisteva in un incremento automatico delle aliquote Iva e delle accise e che poteva essere evitato con interventi di revisione della spesa. Dovevano essere trovati 19,2 miliardi nel 2017 e 22 miliardi dal 2018.
Per il 2016 e per il 2017, il governo è riuscito a sterilizzare le clausola di salvaguardia, prevedendo con la legge di Bilancio 2017, il congelamento degli aumenti previsti: per l’Iva “agevolata”, che riguarda solo una serie di prodotti e servizi (tra cui ristrutturazioni edilizie, vari beni alimentari, prodotti farmaceutici, etc.) dal 10% al 13%, e per l’Iva ordinaria, che riguarda tutto il resto, dal 22% al 24%.
Per il 2018 la legge di Bilancio prevede che le aliquote salgano dal 10% al 13% e dal 22% al 25% (che nel 2019 diventa 25,9%). Oltre a ciò dispone che anche dalle accise sulla benzina vengano reperiti 350 milioni di euro, per coprire un fabbisogno di 19,571 miliardi di euro. Il Def, che prevede di elargire 97 milioni di euro al golf come garanzia statale, rinvia la stangata di 20 miliardi dalle clausole di salvaguardia, con il rincaro dell’ Iva anche su beni di prima necessità.
Secondo quanto calcolato dall’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, le clausole previste dalla passata Legge di Stabilità avrebbero effetti disastrosi sull’intera economia.
Tra ricadute dirette (vale a dire l’aumento dei prezzi) ed indirette (dovute all’effetto moltiplicatore che l’aumento dei costi di produzione e di trasporto produrrebbe sull’intero sistema dei prezzi, incrementando quindi anche quelli dei beni primarie con IVA al 4%), ogni famiglia a regime si troverebbe a fare i conti con un aggravio di ben +843,23 Euro annui.
Un aggravio che le famiglie e l’intero Paese non si possono permettere. Le conseguenze sarebbero insostenibili, soprattutto in un momento delicato e difficile come quello che l’Italia sta attraversando, ancora alle prese con un andamento incerto e tentennante dell’economia. Se il Governo non sarà in grado di scongiurarlo, tale aggravio comporterebbe una ulteriore contrazione della domanda interna, già oggi molto debole, con ripercussioni sul sistema produttivo e sull’occupazione, aggravando i dati già drammatici soprattutto per quella giovanile ora interamente pesantemente a carico del welfare familiare.