ROMA – Il piano industriale presentato dal gruppo MPS ci sembra del tutto inadeguato per affrontare in modo efficace la situazione di crisi del Gruppo che riteniamo debba essere risolta non certo con una politica di tagli indiscriminati, ma con un vero e proprio progetto industriale, mirato alla crescita ed al rilancio.
La nostra considerazione sembra essere suffragata anche dal mercato che penalizza pesantemente il titolo. Il piano, in dispregio del rispetto delle più elementari norme di rapporti industriali con le organizzazioni sindacali, è stato presentato prima ai mercati ed alle istituzioni e solo successivamente ed in maniera incompleta e superficiale ai rappresentanti dei lavoratori .Le soluzioni previste individuano un ulteriore, pesante, ricorso all’indebitamento verso lo Stato e un indiscriminato ridimensionamento del costo del lavoro ottenuto con la riduzione complessiva di oltre 4600 dipendenti, la chiusura di 400 sportelli e l’abbattimento degli stipendi con forme solidaristiche. Quando in momenti di crisi globale lo stato interviene a sostenere istituti bancari in difficoltà, ci aspetteremmo che tali risorse fossero indirizzate soprattutto verso il sostegno all’economia ed alla occupazione piuttosto che a cercare di “far galleggiare la banca”, come ha sentenziato il presidente Profumo, indicando nella banca assicurazione e nel potenziamento di offerta di servizi anche non bancari il futuro del MPS.
Se il denaro pubblico che proviene dalle tasche dei contribuenti, compresi i lavoratori del Gruppo MPS, viene investito dal fior fiore della “intellighenzia” bancaria italiana con queste modalità e con queste prospettive di diminuzione dell’occupazione e della funzione storica degli istituti bancari di supporto all’economia reale non possiamo che esprimere forti perplessità sul futuro non solo della banca, ma, in prospettiva, anche dell’economia del Paese. Il plurisecolare Istituto, che del supporto alle economie locali ed alla “eticità” dei comportamenti si è sempre fatto vanto, si ritrova adesso ad avere una direzione autoritaria e non concertativa delle politiche industriali esercitata da un presidente rinviato a giudizio per frode fiscale, fatto questo che, per un normale dipendente provocherebbe come minimo la sospensione dal servizio. La banca, che riceve, ripetiamo, soldi pubblici, si rifiuta di rendere noti e palesi gli stipendi dei top manager recentemente reclutati, gli eventuali premi degli stessi, le condizioni per la loro erogazione e le eventuali condizioni di risoluzione dei loro rapporti di lavoro. La banca, che provvederà al licenziamento del 10% dei dirigenti non fa chiarezza sui metodi per individuarli e non pare prendere in considerazione di utilizzare, tra i criteri, anche quelli di inefficiente capacità di gestione della amministrazione precedente, che hanno condotto allo sfacelo attuale. Infine, la dismissione dell’attività di back office, palesemente in contrasto con quanto previsto dal contratto nazionale di categoria recentemente siglato, che porterà alla cessione di 2300 persone, ha di certo solo il numero. La definizione del perimetro, dei partner, della eventuale forma societaria, sono infatti ancora avvolti nella nebbia, dimostrando come l’ineffabile presidente del MPS non faccia altro che ripetere schemi da lui già percorsi in altre realtà, ci permettiamo di dire, con risultati quanto meno controversi.