ROMA – In Italia “la ripresa perde slancio, risentendo delle dinamiche internazionali”. E’ quanto si legge nella congiuntura flash di Confindustria. “Il rallentamento – spiega il Csc – durerà ancora almeno fino a fine 2010-inizio 2011, stando all’indice anticipatore Ocse, sceso in agosto (-0,2 punti) per il settimo mese di fila”.
L’Italia, spiega Confindustria, “recupera con più fatica, zavorrata dalla perdita di competitività, dai problemi occupazionali, dai margini delle imprese erosi anche dai rincari delle materie prime e dai tassi in aumento”. Il Csc continua spiegando che la produzione industriale è calata a settembre dello 0,7%, dopo il balzo di agosto (+1,6%). L’aumento nel terzo trimestre (1,9%) è ancora coerente con un incremento del Pil dello 0,5%, ma da maggio il passo e’ sceso al 5,4% annualizzato, dal 7,7% precedente. In agosto forte crescita di ordini (+7,3%) e fatturato (+2,8%) compensa le cadute dei due mesi precedenti.
Per il quarto trimestre è atteso un ritmo più modesto, sulla base dei dati qualitativi di settembre. Nel manifatturiero, peggiori i giudizi Isae sugli ordini (saldo a -27, da -23) e stagnanti le attese di produzione; anche nel sondaggio Pmi la componente ordini perde slancio (52,2, da 55,4). Però in settembre sono tornate positive le condizioni per investire. E’ proseguito, prosegue il Centro studi Confindustria, l’altalenante recupero dell’export italiano: in volume +1,8% medio mensile giugno-agosto. Gli ordini esteri (saldo Isae a -27, da -24) preludono a progressi minori. Nell’extra-Ue le vendite a settembre (+2,6% su agosto) sono inferiori a quelle in luglio. Anche gli scambi mondiali sono meno vivaci: in luglio sono scesi dello 0,9%. Il ritardo che ha contraddistinto nel 2009 la ripartenza delle vendite estere italiane rispetto all’export globale si ripropone. Il rallentamento è fisiologico: i recenti ritmi di incremento sono stati molto superiori anche a quelli più vivaci precrisi (+0,5% mensile nel 2006-2007). Ma a ciò si aggiungeranno nei prossimi trimestri gli effetti della perdita di competitività dovuta alla rivalutazione dell’euro, che è stata pari al 5,2% tra giugno e metà ottobre (cambio effettivo nominale).