ROMA – Il 28 aprile 2015 il Pakistan ha raggiunto il vergognoso primato di 100 impiccagioni da quando, il 17 dicembre 2014, all’indomani della strage dei talebani in una scuola di Peshawar, è stata sospesa la moratoria sulle esecuzioni. Il Pakistan si accinge a diventare uno dei principali esecutori di condanne a morte al mondo.
“Le autorità pakistane stanno mostrando un completo disprezzo per la vita umana. In più, in molti casi, le condanne a morte sono state emesse al termine di processi irregolari. Questa catena della morte non serve a niente per affrontare alla radice le cause della criminalità e del terrorismo” – ha dichiarato David Griffiths, vicedirettore del programma Asia e Pacifico di Amnesty International.
“Le esecuzioni sono diventate ormai quasi quotidiane. Se il governo non ripristinerà la moratoria, non abbiamo idea di quante saranno alla fine dell’anno” – ha aggiunto Griffiths.
“Crimini gravi come gli omicidi e gli atti di terrorismo vanno condannati senza riserve ma uccidere in nome della giustizia non ha un particolare effetto deterrente. Chi commette quei crimini va processato con procedure eque e senza ricorso alla pena di morte” – ha sottolineato Griffiths. Tra le migliaia di prigionieri a rischio di esecuzione c’è anche Shafqat Hussein, che secondo il suo avvocato era minorenne al momento del processo e che avrebbe confessato sotto tortura.