La guerra ostruzionistica dei berlusconiani alla legge contro la corruzione

Se qualcuno vuole davvero comprendere di cosa sia fatto il partito berlusconiano si chieda perché sta ostacolando con tutte le sue forze parlamentari il disegno di legge in materia di corruzione e la «legge Palomba», cioè il ripristino del reato di falso in bilancio, praticamente abolito dal governo Berlusconi nel gennaio del 2002, con una raffica di emendamenti in Commissione Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio.

L’attuale ministro della Giustizia Severino ha predisposto una legge anticorruzione che introdurrebbe in Italia alcune fattispecie previste dalla Convenzione penale sulla corruzione, approvata dal Consiglio d’Europa, entrata in vigore il 1° luglio del 2002 e firmata anche dal nostro Paese il 27 gennaio 1999. Sarà il caso di rimarcare che l’Italia è uno dei quattro Paesi che non hanno ratificato la Convenzione (gli altri sono l’Austria, la Germania, San Marino e il Liechtnstein), nonostante siano trascorsi dieci anni dalla sua entrata in vigore. Complessivamente, le Nazioni che hanno firmato l’Accordo anticorruzione sono 47 fra quelle aderenti al Consiglio d’Europa e tre fra quelle non aderenti (Bielorussia, Santa Sede e USA).

La Convenzione, e per converso le norme del ddl Severino, introduce, fra le altre cose, innanzitutto la previsione di «reati contabili» connessi con atti di corruzione, quindi la centralità del principale di questi reati, appunto il falso in bilancio, a prescindere dalla gravità della manomissione compiuta (come è previsto attualmente dalla legge penale voluta dal secondo governo Berlusconi). Sono poi previsti reati quali il «traffico di influenze» attivo e passivo, che è una tipica manifestazione truffaldina del politico che promette (attiva) o accetta come incarico (passiva) la finalità di influenzare determinate scelte dell’amministrazione pubblica in cambio di voti o di altre utilità. In Francia il reato è punito dall’articolo 433 del codice penale («trafic d’influence»), negli Stati Uniti il reato è previsto e regolato addirittura da quindici leggi diverse (fattispecie di «influence pedding»).La Convenzione parla, ancora più esattamente, di «trading influence», facendo riferimento al “mercimonio” attuato dal funzionario pubblico o dal politico, in spregio del suo incarico che dovrebbe essere finalizzato alla tutela degli interessi collettivi. Un’altra fattispecie sconosciuta al nostro ordinamento presente nel testo della Convenzione (e quindi nel ddl Severino) è la corruzione fra privati, che attualmente in Italia non è punita da alcuna sanzione.

La ragione dell’ostruzionismo opposto dai berlusconiani è che essi, in realtà, vorrebbero approvare il testo di legge a suo tempo predisposto dall’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano che, non a caso, non prevedeva alcuno di questi reati, traducendo la Convenzione europea in una legge oltremodo edulcorata. La ragione, spudoratamente falsa, è sempre la stessa: essi ritengono che, in un Paese come il nostro, dove è presente una «magistratura politicizzata», non è possibile fornire ai pubblici ministeri ulteriori strumenti per mettere ingiustamente alla sbarra politici “onesti”, che hanno solo il torto di stare dalla parte del proprietario di mezzo impero televisivo, ripetutamente salvato dalle loro grinfie grazie ad apposite leggi ad personam. Dell’Utri e Cosentino ovviamente sono d’accordo.

 


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