GENOVA – Il capo della polizia Manganelli ha detto che “ora è il momento delle scuse”. Era ora, appunto.
Si tratterebbe, tuttavia, di mettersi d’accordo sulla tipologia di orologio alla quale decidiamo di fare riferimento. Perché undici anni sono davvero troppi. Perché da undici anni si sapeva che alla Diaz erano state massacrate persone che dormivano e non erano responsabili di nulla. Così come si sapeva che la Diaz era il tentativo, osceno, di recuperare credibilità dopo l’assassinio di Carlo e lo sfacelo nella conduzione dell’ordine pubblico.
Tuttavia, si potrà obiettare, i tempi di maturazione sono sempre piuttosto lunghi, la fretta è cattiva consigliera. Anche il vice questore Fournier ha impiegato sei anni per convincersi che quella era stata una “macelleria messicana”, riflessione a lungo sofferta per via dello “spirito di corpo”, cioè per l’omertà, come si definisce in altri contesti. Però, per le promozioni di tutti i responsabili, ma proprio tutti tutti, nessuno escluso, di tempo se ne è impiegato molto meno. Vogliamo chiedere scusa anche per questo? Altrimenti qualcuno potrebbe malignamente pensare che si butta lì una felice espressione perché “adda passà ‘a nuttata”!
Manganelli ha collegato la opportunità di chiedere scusa alla rivendicazione del ruolo importante e meritevole che gli appartenenti alla polizia svolgono. Implicita, quindi, la necessità di ricostituire un rapporto di piena fiducia tra cittadino e poliziotto, messo a dura prova da tanti, troppi episodi che invece quel rapporto hanno deteriorato. Non vi è dubbio che questo debba essere l’obiettivo primario. Non è più accettabile che un cittadino, come è stato detto, provi una sensazione di insicurezza al cospetto di una divisa, invece di sentirsi rassicurato. Ma per ottenere questo fondamentale diritto democratico le scuse non bastano. Occorre che, davvero, tutti coloro che hanno provocato guasti insopportabili vengano messi nella condizione di non nuocere ulteriormente. Ovviamente cominciando dall’alto, da dove sono collocate le maggiori responsabilità.
Fin troppo ovvio che il pensiero corra all’attuale ruolo ricoperto nel governo Monti da Gianni De Gennaro, recentemente nominato sottosegretario agli Interni. Certo, la Cassazione lo ha assolto dall’accusa di concussione. E tuttavia anch’egli aveva ottenuto precedenti promozioni mentre era stata emessa una condanna in Appello. In questi casi, l’annosa questione del garantismo e del terzo grado di giudizio mi pare proprio che non possano avere valore. Riusciremo mai a trarre esempio da Paesi civilissimi nei quali un alto funzionario pubblico, non appena lambito dal sospetto di aver commesso un reato, anche minimo, fa il famoso passo indietro, o addirittura, come avviene in molti casi, si dimette? Già, queste cose da noi non vanno di moda. Chiederà scusa anche lui? O vorrà continuare a farci credere che di quello che succedeva a Genova, lui, massimo responsabile, non sapeva nulla, non aveva deciso nulla, tutto affidato ai sottoposti? Resta questo, non l’unico certo, il punto da chiarire. Continuiamo a pretendere che la verità sia conclamata.