Il Pdl, quel ramo di azienda che si spaccia per partito politico

 

Soltanto un idiota o un credulone interessato poteva e può credere che il Pdl sia un vero partito politico, cioè quello definito dall’articolo 49 della Costituzione quale libera associazione alla quale i cittadini possono aderire per «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Il Pdl è un ramo di azienda di «Mediaset», costituito, dopo la liquidazione di «Forza Italia», con un oggetto sociale ben determinato: promuovere, con ogni mezzo e in particolar modo attraverso la captazione del consenso elettorale, gli interessi economici delle aziende del suo fondatore. Questa è la ragione per cui lo stesso Silvio Berlusconi decise di «scendere in politica» nel 1994 e questa è la ragione che ha orientato tutti i suoi diciotto anni di partecipazione ai processi decisionali di governo.

Ora, naturalmente, non sempre è possibile ottenere il potere governativo ed allora è necessario tornare alla dissimulazione, spacciarsi per uomini politici, per «statisti» che hanno a cuore il bene del nostro Paese. E così, nel novembre scorso, Berlusconi, ben consigliato in questo senso dai suoi manager e avvocati, ha pensato bene di rassegnare le dimissioni da Palazzo Chigi, avviando una campagna mediatica sulle sue televisioni e i suoi giornali che sottolineasse come il «sacrificio» era stato dettato dal suo senso del bene collettivo (che per lui coincide con quello aziendale). Sfruttando il terrore che il Partito democratico ha di tornare a governare, soprattutto in un periodo di scelte impopolari, Berlusconi ha appoggiato un governo di tecnici al quale affidare il lavoro sporco, si è perfino adeguato ad un clima di rottura con il suo alleato storico, la Lega, anche se è evidente a tutti che si tratta di una finta rottura, che nello spazio di qualche ora potrebbe ricucirsi per tornare a massacrare gli italiani da posizioni di forza. Nel frattempo e in attesa delle elezioni del 2013, in queste ore sta facendo capire a Mario Monti chi è che comanda ancora nel Paese, intimandogli di togliere le mani dalla Rai, perché è «roba sua» e non azzardandosi nemmeno a pensare di abolire il «beauty contest», cioè l’assegnazione gratuita delle frequenze che il magnate si era confezionato grazie ai suoi dipendenti messi nei posti ministeriali giusti. Soltanto ieri, Fedele Confalonieri si è recato a Palazzo Chigi per parlare con il premier e ricordargli chi è l’azionista di maggioranza dell’attuale governo. Nello stesso tempo, una raddrizzatina all’Angelino (Alfano) non fa male, ricordandogli la sua mancanza di “quid” ma continuando a disegnare sopra la sua testa gli scenari futuri e le alleanze profittevoli.

Ciò che desta stupore è che Pierluigi Bersani, seguendo un impulso autodistruttivo che è oramai la cifra politica del suo partito e della sua dirigenza, continui a far finta di niente e a ritenere utile politicamente il suo avallo ad una maggioranza cui è vietato di occuparsi non solo di televisioni ma anche di giustizia, altra materia sensibile per il partito putiniano di Arcore e nel frattempo farsi stritolare dalle primarie sul territorio, perdendo consensi nei sondaggi. Un cupio dissolvi per tutta la sinistra italiana.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe