Dividere il PD, anticamera della sconfitta

ROMA – A volte si ha l’impressione che la divisone per alcune parti del centro sinistra sia una concezione e una scelta consapevole da perseguire con estrema determinazione.

Ciò rivela una concezione subalterna che oscilla tra la ricerca del nemico interno e quello esterno. La mediazione è sempre un dato negativo, a perdere, che segna una compromissione e basta.
È quello che si paventa, drammaticamente, per il centro sinistra a pochi mesi dalle elezioni.
L’Italia si trova ad un bivio e c’è la possibilità concreta di aprire una pagina nuova nella storia della democrazia italiana dopo gli anni degradanti del berlusconismo che hanno portato precarietà e disoccupazione nelle famiglie e alle nuove generazioni.
Il rischio è quello di affrontare questa fase cruciale con un PD diviso per iniziativa di Renzi e con un alleato, Sel, indisponibile a verificare la possibilità di estendere il fronte del rinnovamento alle forze del centro democratico. Entrambi sferzano Casini e per di più polemizzano tra loro. E ognuno ritiene di avere delle valide ragioni.
E credo che non sfugga a nessuno il fatto elementare che se il centro sinistra e il Pd arriveranno alla contesa elettorale divisi ed isolati la sconfitta sarà certa. E il paese ne pagherà drammaticamente le conseguenze.
Riflettiamo sulla candidatura Renzi. Perché si candida a premier?

Perché vuole fare delle cose per il paese. Bene, ma quali? considerato che non ne parla, non parla del lavoro, dello sviluppo sostenibile, della crisi europea come di tante altre cose.
La sua parola d’ordine è rottamiamo chi ora guida il PD, giovani e meno giovani che sostengono Bersani. Ma questo non dovrebbe essere, e a ragione, l’obiettivo politico di Berlusconi? O di quelle forze che puntano alla divisione del PD per indebolirlo e  costringerlo ad un ruolo subalterno a sostegno di governi in continuità con le politiche di Monti?  E questo progetto non è quello su cui da tempo combatte duramente il Corriere della sera insieme a quella parte delle classi alte che non vogliono Berlusconi ma neppure un governo a guida PD?
Renzi ha detto che a lui non interessano le alleanze. Allora la prospettiva è un monocolore PD? Perché no: si punta alla maggioranza assoluta che dovrebbe arrivare perché si promette la cacciata del gruppo dirigente del PD e l’auto proclamazione. Un po’ poco e un po’ troppo.

La verità è che non si ha un’idea di società e di cambiamento perché solo allora hanno senso i contenuti e le alleanze. Bersani ha proposto una carta d’intenti, su cui costruire il programma della ricostruzione, fondata sull’uguaglianza, sullo sviluppo sostenibile, sul valore del lavoro, sui diritti civili, sul ruolo delle nuove generazioni e delle donne, su una nuova  Unione uropea più democratica e più unita.
Ma Renzi ha deciso di candidarsi lo stesso, poi arriveranno le proposte programmatiche come corollario degli attacchi personali.
Si candida anche contro le regole statutarie che lui stesso ha approvato, quelle che indicano nel segretario eletto con le primarie il candidato a premier. A lui le regole non interessano. Tantissimi si domandano perché questa forzatura, cosa rappresenta il sindaco di Firenze di così importante da non rispettare le regole del suo stesso partito, fino a dividerlo e a far appello al popolo/primarie nel tentativo di prevalere su una parte maggioritaria del suo partito e rischiare di compromettere così l’auspicato ricambio politico in Italia?
È difficile dare una risposta perché negli organismi dirigenti di cui fa parte non parla e dalle molte interviste, in TV e sui giornali amici, non si è capito.

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