Cambiamento climatico. A Doha negoziati infiniti e inconcludenti

ROMA – E’iniziata a Doha la settimana decisiva per il futuro del Protocollo di Kyoto. Migliaia di delegati, in rappresentanza di 190 paesi, si confronteranno fino al 7 dicembre nella capitale del Qatar per decidere del futuro della lotta al cambiamento climatico. Un appuntamento internazionale di importanza straordinaria che tuttavia sta passando pressoché sotto silenzio.

Quello che sorprende, di fronte al ripetersi e all’intensificarsi di fenomeni atmosferici devastanti e drammatici che tutti ormai sanno dipendere dal cambiamento climatico in corso, è l’assordante silenzio dei governi, ad iniziare dal nostro. Quasi che sia ancora possibile considerare il tema come “marginale”, in ossequio ad un pensiero economicista chiaramente condizionato dagli interessi e dalle lobby collegate allo sfruttamento e all’impiego dei  combustibili fossili. Tutto questo dopo che lo stesso Presidente della Banca mondiale, presentando il rapporto “Turn down the heat. Why a +4 °C warmer world must be avoided”, ha commentato  “Spero che questo report ci spinga all’azione…la Banca Mondiale si accinge a far fronte alla sfida”.

L’inquinamento atmosferico continua ad aumentare
 
Sembra impossibile, ma dopo anni di negoziati, alla scadenza del primo periodo di impegni del Protocollo di Kyoto arriviamo con l’unica certezza che l’inquinamento atmosferico continua ad aumentare. Malgrado l’Unione Europea sia riuscita a tagliare almeno in parte le emissioni di gas climalteranti, grazie anche ad un crollo dei consumi dovuto alla crisi ed alla chiusura degli impianti iperinquinanti nei nuovi membri dell’Est, la CO2 globale è cresciuta senza sosta. Secondo il rapporto 2012 “Trends in global CO2 emissions” dell’Agenzia dell’ambiente olandese le emissioni sono cresciute nel 2011 di un ulteriore 3%, raggiungendo il dato record di 34 miliardi di tonnellate. I principali inquinatori sono la Cina, con un 29% della “torta”, gli Stati Uniti (16%), la UE a 27 (11%), l’India (6%), la Russia (5%) ed il Giappone (4%). E sebbene le emissioni pro capite cinesi abbiano raggiunto quelle europee (7.2 tonnellate contro le 7.5 dell’UE) gli Stati Uniti rimangono campione irraggiungibile con oltre 17 tonnellate all’anno a testa.

A rischio  l’accordo globale fra tutti i partecipanti

Come detto il 31 dicembre di quest’anno scade il periodo 2008-2012 del Protocollo di Kyoto a cui dovrebbe seguire, come da accordi, un secondo periodo di impegni per i Paesi industrializzati. Ci si arriva però in pessime condizione perché diversi Paesi come Russia, Canada, Stati Uniti ed ultimamente la Nuova Zelanda hanno dichiarato di non avere nessuna intenzione di aderire. La conseguenza sarà di mettere in discussione l’impegno di Durban, che prevedeva un accordo globale tra tutti i principali inquinatori da concludere nel 2020, ma da negoziare già dal 2015. Nel mentre il Green Fund, promesso e deciso prima a Copenaghen e poi a Cancun nel 2010, nei fatti ancora non è operativo. Dei 30 miliardi di dollari del primo finanziamento per il biennio 2010-2012 si è visto a malapena il 10%, usato sostanzialmente per creare e far funzionare la burocrazia del fondo, con sede in Corea. Sarebbe dovuto essere il primo impegno sostanziale dei Paesi industrializzati, fortemente voluto dai paesi in via di sviluppo, che avrebbe dovuto finanziare primi interventi di adattamento e mitigazione in attesa del fondo vero e proprio che nel 2020 avrebbe dovuto raccogliere 100 miliardi di dollari all’anno.

Le lentezze della diplomazia internazionale

Ma davanti alle lentezze della diplomazia internazionale diversi Paesi, tra cui Cina, il G77 ed i Paesi insulari dell’AOSIS, stanno chiedendo un impegno intermedio di 60 miliardi di dollari all’anno entro il 2015.
Allo stato, quindi, i negoziati vedono da una parte importanti paesi sempre più reticenti a sottoscrive un accordo giuridicamente vincolante sul cambiamento climatico e dall’altra paesi in via di sviluppo fortemente contrariati dal disimpegno finanziario dei paesi sviluppati. Si dirà “nulla di nuovo sotto il sole”. E’ vero però, a differenza dei precedenti rinvii, oggi ci troviamo di fronte alla scadenza a fine anno del valore giuridico del Protocollo e quindi o si decide sul suo destino o salta tutto e bisognerà ricominciare tutto da capo. Con buona pace del nostro sistema naturale globale che certamente non risponde alle logiche ed  ai tempi dei negoziati internazionali. Gli scienziati parlano di tipping point, punti di non ritorno, che se superati portano ad una sorta di passaggio di stato in cui diventa quasi impossibile tornare indietro in tempi ragionevoli. I politici hanno deciso che il punto critico da non superare sono i 2° C della temperatura media. La realtà ci dice però che i fenomeni estremi li stiamo già vivendo, negli Stati Uniti con il supertornado Sandy che è costato oltre 60 miliardi di dollari, ma anche nel nostro Paese con le alluvioni e da ultimo il tornado abbattutosi su Taranto, che hanno aumentato il numero di morti e danni per cause atmosferiche e climatiche.

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