Politiche. Agenda Monti, ambiguità e reticenza sui temi cruciali

ROMA – Nel novembre 2011, quando, di fronte all’impennata dello spread, parlammo di golpe finanziario a qualcuno sembrò che avessimo esagerato.

I nostri timori, però, trovavano conferma nella circostanza che si preferisse dare l’incarico di guidare il governo a un gruppo di tecnici, espressione dei poteri forti, anziché andare al voto, come accade in tutte le democrazie sane, considerato che non esisteva più da tempo una maggioranza parlamentare.
Speravamo che almeno il Pd si battesse affinché venissero consultati gli italiani, anche per dimostrare nei fatti di essere realmente quella forza politica capace di determinare il cambiamento, come tante volte sostenuto con enfasi dai suoi autorevoli esponenti.
Così non è stato. Gli anni di sintonia con il mondo della finanza hanno prevalso sui bisogni degli italiani e si è preferito delegare a un governo tecnico l’adozione dei provvedimenti che la speculazione chiedeva.
A distanza di quattordici mesi,  nonostante tutti gli indicatori economici siano peggiorati, lo spread scende vertiginosamente a riprova di quanto il rialzo del 2011 fosse un pretesto per portare l’Italia, col sostegno di Pd, Pdl e Udc, alla “normalizzazione” e alla cancellazione di diritti faticosamente conquistati dai lavoratori.
Ciononostante, chi ha fatto ulteriormente peggiorare le cose, vale a dire il professor Monti, oggi, contrariamente a quanto dallo stesso sempre sostenuto, “sale” in campo per proseguire la sua azione di “risanamento”.
Agli attoniti democratici verrebbe da dire: è la finanza, bellezza! Tu gli dai un dito e quella si prende il braccio.
Il professore, nel suo   Manifesto politico e nella sua  Agenda per un impegno comune, pubblicati pochi giorni fa, scrive che non si accontenta di “cambiare l’Italia”, ma con il suo movimento vuole addirittura “riformare l’Europa”.

Un movimento che deve raccogliere il testimone del suo governo, che “in soli tredici mesi ha restituito all’Italia credibilità e affidabilità dentro e fuori i confini nazionali”.
“Un movimento popolare e riformista che si rivolga a quegli elettori che da tempo sono in cerca di una nuova offerta politica”, europeista, che superi la contrapposizione novecentesca – fra destra “conservatrice o liberista” e sinistra “progressista o statalista, che si illude di conservare l’equità rifiutando il merito e la mobilità sociale”- perché  “lo statalismo alligna sia a destra che a sinistra … Così stando le cose, il suddividersi delle forze politiche secondo il vecchio schema destra-sinistra genera disorientamento dell’opinione pubblica ed è una delle cause dell’inconcludenza che caratterizza gravemente la politica italiana”.
La nuova formazione politica “non intende collocarsi ’al centro’ tra una destra e una sinistra ormai superate, bensì costituirsi come elemento di spinta per la trasformazione dell’Italia, in contrapposizione alle forze conservatrici, prone ad interessi particolari” e “nasce con l’ambizione di raccogliere il consenso della maggioranza degli italiani”.
Nonostante queste premesse, piuttosto qualunquiste, tra le priorità del nascente movimento vi è la lotta al populismo montante nel paese. Strano manifesto, considerato che il governo Monti è stato sostenuto proprio da quelle forze politiche che, oltretutto, gli hanno rinnovato la fiducia per ben 51 volte.

Benché scettici, dopo la lettura di questo vero e proprio pamphlet, che delinea l’identikit del movimento montiano, abbiamo raccolto l’invito del professore “a leggere il documento (il programma di governo, ndr), a condividerlo e a commentarlo con spirito critico, portando il contributo di idee e di proposte”.
Ebbene, del documento programmatico montiano abbiamo apprezzato la brevità (appena 25 pagine contro i consueti tomi di altri partiti), molto meno la sintassi, poco e niente l’analisi sulla genesi e gli effetti della crisi, per nulla le fumose ricette risolutive della stessa.
Qualcuno ha voluto leggere tra le proposte montiane l’introduzione della patrimoniale e del salario minimo garantito. In realtà, il testo appare molto ambiguo e reticente su temi cruciali; vi è solo la rivendicazione esplicita delle misure sin qui adottate come salvifiche per il paese e, in aggiunta, il rammarico per non aver potuto affondare di più il bisturi. Difettano, invece, sia le proposte corredate dei dovuti dati economico-finanziari, sia l’analisi degli effetti dei provvedimenti fin qui varati.
Nonostante gli allarmi di autorevoli economisti – da ultimo Fitoussi, che ha paragonato gli effetti degli interventi della Ue a quelli della programmazione economica di epoca staliniana – ci si ostina a credere che per tornare a crescere occorra rispettare gli impegni presi in sede europea con la sottoscrizione del Fiscal compact, ossia il pareggio di bilancio, la riduzione di un ventesimo del debito pubblico (manovre da 50-60 miliardi l’anno, per un ventennio) e la dismissione del patrimonio pubblico. Per fare questo non si prevede una redistribuzione del carico fiscale bensì una riduzione del carico fiscale complessivo e “meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali”. Altro che patrimoniale!
La spending review – precisa il professore – è solo all’inizio perché “la riduzione e il taglio di enti e organismi pubblici, richiedono tempo e un approccio sistematico e continuativo”. In altri termini si prevede lo smantellamento graduale della macchina pubblica.
Nonostante una sentenza della Corte Costituzionale e i referendum dello scorso anno, si torna alla carica sulle privatizzazioni di servizi “da proseguire e intensificare” seppure “sulla base di un adeguato processo di consultazione pubblica”, che non si capisce come dovrà avvenire.
Per risolvere le crisi industriali “occorre lavorare sul costo del lavoro” e “continuare la strada del decentramento della contrattazione salariale”. In altri termini verrebbero cancellati i contratti nazionali e avviata la contrattazione sui singoli luoghi di lavoro.

“La scuola e l’università – continua Monti – sono le chiavi per far ripartire il paese e renderlo più capace di affrontare le sfide globali”. Dopo una simile affermazione ci si aspetta l’annuncio di provvedimenti innovativi e invece la ricetta è: “completare e rafforzare il nuovo sistema centrato su Invalsi e Indire … meccanismi di incentivazione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti”. Mentre “in materia di ricerca, occorre proseguire e affinare il progetto avviato dall’Anvur per il censimento e la valutazione sistematica dei prodotti di ricerca …. accrescere gli investimenti … .incentivando in particolare gli investimenti del settore privato”. Ma sarebbe più preciso dire: i finanziamenti pubblici al privato, alla luce dei 230 milioni destinati dalla legge di stabilità alle università private, a fronte del taglio di 300 milioni agli atenei pubblici.
Nessuna autocritica sulle riforme varate. “La riforma delle pensioni ha dato al Paese il sistema più sostenibile e avanzato in Europa – e perciò – non si può fare marcia indietro. Bisogna proseguire sulla strada tracciata per migliorare … monitorare l’attuazione delle nuove norme per individuare correzioni possibili e completare le parti mancanti”.

Non pago della riforma del lavoro appena varata, il professore prevede “una drastica semplificazione normativa e amministrativa in materia di lavoro … il superamento del dualismo tra lavoratori sostanzialmente protetti e non protetti … ridurre a un anno al massimo il tempo medio del passaggio da un’occupazione all’altra … spostare verso i luoghi di lavoro il baricentro della contrattazione collettiva favorendo il collegamento di una parte maggiore delle retribuzioni alla produttività o alla redditività delle aziende attraverso forme di defiscalizzazione, come avvenuto nell’accordo firmato dalle parti sociali (Cisl, Uil e Ugl, ndr) nell’ottobre scorso”.
Per Monti, la grave piaga sociale della disoccupazione sembra riguardi solo gli under 30 e gli ultra cinquantacinquenni senza pensione. Per i primi prevede: un “Piano Occupazione giovanile” e, per i secondi, “misure volte a promuovere l’invecchiamento attivo (sic!) … un sostegno del reddito collegato alla loro disponibilità al lavoro”. Altro che soluzione del problema degli esodati determinatosi con la riforma Fornero!
Il professore, mentre da un lato ribadisce più volte che bisogna rivedere l’attuale sistema dei servizi al cittadino, sanità compresa, perché troppo costoso per le nostre esangui finanze, dall’altro è pronto ad affidarne buona parte al volontariato di cui “bisogna riconoscere e valorizzare il ruolo”. Un inciampo che lo pone sullo stesso piano della “destra” e della “sinistra” che, come dianzi sottolineato, Monti accusa di statalismo per interessi elettorali, gli stessi interessi che egli sembra perseguire visto l’appoggio consistente che arriva al suo movimento proprio dal mondo del volontariato. Peraltro, già oggi, come sopra ricordato, il suo governo ha privilegiato un altro settore vicino: quello delle università private.
Insomma, un programma che si appalesa preoccupante dal punto di vista democratico sia quando si leggono “idee” ben esplicitate, sia quando sono appena abbozzate.
Una preoccupazione che trova ulteriore conferma laddove il professore riafferma la necessità di una riforma della Costituzione che porti ad un governo forte e centralizzato.

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