Mafia Capitale. L’origine del male: privatizzazioni ed esternalizzazioni

ROMA  – Siamo alla seconda puntata di Mafia Capitale e non sarà certamente l’ultima, perché è opinione diffusa che ciò che è emerso fin qui e i personaggi inquisiti non sono che una minima parte di quel sistema. Perché di sistema si tratta.

Sui media, ancora una volta, leggiamo una marea di conversazioni intercettate tra gli indagati. Ovviamente, per ragioni di spazio, si pubblica solo una minima parte di esse e ciò può essere fuorviante, nel senso che emerge solo l’operato di alcuni e si sorvola su quello di tanti altri, che restano saldamente in sella all’interno delle istituzioni locali.

E’ un modo per spiare i fatti dal buco della serratura senza andare ad analizzarli. Ma di analisi del fenomeno ben poche e affatto approfondite ne abbiamo lette. Comprensibilmente, perché è difficile sviscerare il malaffare di chi fino a ieri si è osannato.

Di sicuro nessuno è andato a cercare le origini del fenomeno che è antico, anche se negli ultimi sette anni ha subito un’accelerazione, e nasce circa venti anni fa, favorito dall’ansia di privatizzare tutti i servizi e di semplificare le procedure, di condonare comportamenti illeciti.

Pensate che se avessimo avuto un welfare pubblico consolidato, se non avessimo avuto una cultura clientelare e se le regole fossero state uguali per tutti ci saremmo trovati in questa situazione?

In questo ventennio si è cercato solo di esternalizzare tutto il possibile, una politica sempre più autoreferenziale si è retta e ha prosperato anziché sulle idee sulle clientele.

Tutto ciò ha consentito e consente agli amministratori corrotti di spartire appalti, beni pubblici in dismissione, e distribuire favori. Così ognuno può favorire i suoi grandi elettori e, al contempo, può chiedere assunzioni e finanziamenti per campagne elettorali sempre più faraoniche. Un fenomeno quest’ultimo che, con l’abolizione del finanziamento pubblico e la riduzione del numero degli eletti, ferme restando le preferenze, è destinato a crescere.

Ma torniamo a Roma, la spartizione a danno dei cittadini c’è da anni. Partita dal sacco del territorio, con le decisioni sull’urbanistica, si è estesa via via, favorita sempre dalle esternalizzazioni e dalle privatizzazioni delle aziende pubbliche, dai servizi sociali all’emergenza casa, dalle mense scolastiche agli interventi per la promozione sociale, per finire alle finte iniziative culturali.

Insomma, dagli appalti per i lavori pubblici a quelli per l’acquisto e l’erogazione di beni e servizi, la metastasi della spartizione clientelare ha invaso ogni settore dell’amministrazione. Contemporaneamente i servizi sono diventati sempre meno efficienti e più costosi e il disavanzo è cresciuto in maniera esponenziale.

L’assessore alla legalità Sabella, arrivato da poco e forse ignaro di tante circostanze, scarica le responsabilità sui dirigenti comunali, dimenticando o non sapendo che quasi tutti i dirigenti incriminati o sono stati assunti con contratti di consulenza a tempo determinato o sono stati chiamati a quei ruoli in quanto organici dei partiti.

E’ giunto il momento di mandare in pensione la “legge Bassanini”, che ha previsto la separazione dei poteri tra organi di indirizzo politico e organi di gestione, considerato che i primi fanno e disfano a proprio piacimento e i secondi, se non si adeguano, vengono mobizzati. Certo, poi ci può sempre essere e c’è qualche dirigente che in cambio della copertura delle scelte dei politici, come si dice a Roma, “si allarga” e a sua volta chiede la tangente.

V’è da ritenere che l’inchiesta in corso nella capitale ha individuato solo alcuni aspetti di un sistema che coinvolge tutti i settori dell’attività amministrativa. E’ auspicabile che vada avanti, che si scandagli ogni voce di uscita, ogni pagamento, ogni erogazione di danaro, persino ad associazioni od onlus.

Per contro, agli amministratori onesti vanno dati più strumenti di controllo. Il regolamento d’applicazione della legge 241/90 prevede tempi stretti per garantire l’accesso a tutti gli atti, invece spesso tale accesso è negato. Lo Statuto del Comune di Roma, nella sua precedente formulazione, prevedeva per i consiglieri l’accesso via intranet a tutti gli atti amministrativi. Ebbene, non si è mai voluto dare attuazione a tale norma di trasparenza.

Una norma che viceversa andrebbe estesa a tutti i cittadini, visto che di denaro pubblico si tratta.

Quello di Roma non è certamente un caso isolato, tutt’altro, e per questo occorre dare un forte segnale di discontinuità.

Il sindaco Marino rifiuta l’ipotesi di scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose (altrove è avvenuto, anche per molto meno) ma, se il Prefetto decidesse di applicare la legge alla lettera, questa sarebbe una strada obbligata. Imbarazzante, trattandosi della capitale, ma obbligata.

Alla luce di quanto finora è emerso, il Sindaco farebbe meglio a risparmiare quest’onta alla città, rassegnando le dimissioni.

Adriana Spera

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