L’assalto contro i partiti, minaccia per la democrazia

ROMA – Chiedere di abolire il finanziamento pubblico ai partiti è la cosa più semplice del mondo, come lo è raccogliere su questa proposta un vasto e sincero consenso.

In un clima di astio e di rabbia contro una sistema politico che non è in grado di governare o che ha governato male il tutto condito da ruberie è naturale che scatti la voglia di fare piazza pulita dei vecchi gruppi dirigenti e di sperare che i neofiti della politica   possano rimpiazzarli  meglio e con meno spesa. Insomma il grido “Dai alla casta” è il forte slogan che sintetizza un intero programma, ed è utilizzato da chi vuole soppiantare il vecchio o rifarsi una facile verginità politica. Intendiamoci, nessuno vuole nascondere l’arrembaggio che è stato compiuto alle finanze dello stato da un sistema politico andato fuori controllo. La responsabilità è indubbiamente dei partiti che , complici fra loro, hanno dato l’assalto alla diligenza della finanza pubblica. Tanto nessuno controllava il controllore e anche se si indiceva il referendum (come si è fatto) per abolire il finanziamento pubblico si trovava, poi,  il modo di ottenere più danaro di prima sotto altre formule. Dunque la questione esiste ed è grave, ma una cosa è riportarla sui giusti binari, altra è dire “cancelliamo tutto”.

L’abolizione sottintende qualcosa di più grande che non è solo “il così faranno politica solo i ricchi”, dietro l’abolizione c’è la sottintesa volontà del radicale cambiamento della forma partito che è alla base di ogni sistema democratico. E’ vero anche che si fa di tutta un’erba un fascio non distinguendo le responsabilità di un partito dall’altro, ma chiedere in questo momento storico di fare una tale operazione è solo fatica di Sisifo.  Però perchè in una situazione economica così  difficile, invece di mettere al primo posto: il lavoro, le tasse, l’efficienza della pubblica amministrazione, le riforme si pone con insistenza come essenziale l’ abolizione del finanziamento, ma senza toccare il tema della  riforma della vita democratica dei partiti? In altre parole si sorvola sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione che recita “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Articolo mai applicato, né ai partiti e neppure ai sindacati. Chiedono l’abolizione del finanziamento  Il Movimento 5 stelle, il Popolo della libertà,  e all’interno del Partito democratico Matteo Renzi, il rottamatore. Le prime due formazioni, come è noto, aborriscono chiamarsi partiti: si definiscono movimenti. Inutile dilungarsi sul PDL che non ha mai fatto un congresso ed è una sorta di monarchia assoluta berlusconiana. D’altra parte è riconosciuto dagli stessi dirigenti del PDL che se  dovesse venire meno il Cavaliere miliardario il centro destra si dissolverebbe come neve al sole, perciò il finanziamento pubblico può essere facilmente immolato per porsi nella giusta sintonia con quel popolo di destra che non ama sentire parlare di partiti, di tasse, di regole e si identifica con il “conducator” di successo. Insomma la forma del PDL è  diversa dal partito democratico. Non ha torto Bersani quando sostiene che dopo Berlusconi non ci sarà più il PDL, mentre dopo Bersani il Patito democratico continuerà ad esistere. Lo stesso vale per Il Movimento 5 Stelle: se non ci sarà più il guru Grillo, portavoce e deus ex machina del movimento, il grande affabulatore di piazza esisterà ancora il movimento che ha  un’organizzazione così fluida e “sessantottina”? E poi.

Questa forma politica è davvero così democratica come appare? Michele Mezza, giornalista e ottimo conoscitore di internet scrive: “Sia in occasione delle cosi dette parlamentarie, sia per la presentazione in streaming dei gruppi parlamentari, si è visto solo un rudimentale accrocco di video streaming a bassa ricettività e un banale gioco di caselle mail, che non lascia intravedere alcuna relazione interattiva fra i singoli soci o aderenti. Siamo sempre ad una logica verticale, dove il blog sostituisce, ma non trascende, il modello leaderistico del partito che dispensa la linea. La rete, spiegano i grandi guru digitali, è una listen technology non una speaking technology. Il valore delle comunità digitale è quello di ascoltare e rielaborare in modalità collettive, non quello di pontificare dall’alto.. …..E’ chiaro che la forza materiale del grillismo stia innanzitutto in quel movimento antielitario, quel comune sentire di massa, che Grillo ha potuto intercettare e veicolare grazie alla attiva collaborazione dei partiti tradizionali. Grillo è stato un grande megafono, questo non è in discussione. Quello che è ampiamente discutibile sono i valori e le pratiche del predicatore. E soprattutto gli obbiettivi del suo ispiratore digitale. Rivendicare trasparenza e rimanere nella grotta multimediale di Casaleggio non appare un segno tranquillizzante.” Dunque “mutatis mutandi” Grillo si potrebbe definire come l’altra faccia del Berlusconi grande utilizzatore della televisione. Con Grillo comunque ci troviamo di fronte a una costruzione politica diretta dall’alto anche se appare come il modo più democratico e diverso dalle altre. Matteo Renzi, il grande sostenitore dell’abolizione del finanziamento pubblico, e non della profonda riforma, è coerente con la proposta di cambiare modo di fare politica. Lo dimostra il fatto che non è interessato a vincere il prossimo congresso del Partito democratico e diventare il segretario, lui punta direttamente a Palazzo Chigi saltando a piè pari il partito che utilizza solo attraverso le primarie. E’ una strada diversa, ma nella sostanza come Grillo e Berlursconi punta a depotenziare il partito come strumento di reale organizzazione democratica del consenso (Il moderno principe di memoria gramsciana) puntando solo sul “principe”, d’altra parte  anche lui è un ottimo comunicatore.

Condividi sui social

Articoli correlati