E se provassimo a parlare con gli astensionisti?

GENOVA – Nel fondo di Repubblica di oggi Ezio Mauro scrive, fra l’altro, che “le tre minoranze uscite dalle urne anche grazie ad una legge sciagurata non sono state capaci di formare una maggioranza di governo”.
Mi sembrano opportune alcune note. La prima.

La legge elettorale è senz’altro sciagurata, ma soltanto una legge ancora più sciagurata potrebbe fare diventare maggioranza assoluta una di quelle minoranze, violando così ogni decente regola democratica. Mi suggerisce un amico che, con la previsione di una modifica del Senato e conseguente affidamento alla sola Camera del voto di fiducia, la sostanza dell’attuale legge maggioritaria col suo premio esagerato non sarà mai cambiata perché garantirà a Berlusconi altri anni di potere, visto come stanno andando i sondaggi dopo quella che, comunque la si voglia vedere, è una vittoria strabiliante del cavaliere.
La seconda. Le tre minoranze nelle quali è diviso il parlamento (tre, giustamente, perché la quarta, la cosiddetta lista civica montiana è già di fatto sciolta e predisposta al rientro nel centrodestra) sono soltanto la conseguenza di una divisione esistente nel corpo elettorale, cioè nel Paese. E quindi occorrerebbe partire da qualche analisi che possa spiegare questa condizione. Peraltro già esistita in qualche modo anni fa, quando la rottura della unità a sinistra portò il PSI ad essere terza forza aggiunta alle due maggiori, DC e PCI.

La terza. Alla fine due di quelle minoranze sono state capaci di formare una maggioranza di governo: sobria, giovanile, con sufficiente equilibrio di genere, un po’ meno nell’equilibrio di posizioni politiche rispettando invece il dogma della ricostruzione democristiana. L’esatto contrario di quelle che erano state le promesse elettorali di cambiamento del PD, e invece, quanto ai programmi illustrati nella relazione in parlamento, del tutto prone alle sbandierate e demagogiche proposte della destra, IMU e IVA in testa (vedremo dove troveranno i soldi per farlo).
Ma aggiungo una questione fondamentale. Il corpo elettorale che ha determinato le tre minoranze è, se si considerano anche le schede bianche e le schede nulle, poco più della metà della popolazione adulta del Paese. In questa enorme quantità di cittadine e cittadini c’è una ferrea unità rappresentata dallo schifo e dalla nausea per la politica? O anche in quegli oltre venti milioni ci sono minoranze incomunicabili? Certo, c’è chi non vota perché è assolutamente indifferente nel senso che non ha problemi, ha risorse proprie che non lo fanno dipendere dalle scelte del governo. Ci sono anche quelli che non votano perché glielo ha ordinato il capomafia, e anche quella risibile minoranza veteroideologica che non vota per scelta “di classe”, consegnando la scheda al segretario di circolo perché non si sa mai. Non credo tuttavia che siano molti.
Tutti gli altri, allora. Non sarebbe utile cercare di capire chi sono, come vivono, che cosa hanno davvero in testa, quali problemi li invitano a dissociarsi da scelte che in ogni caso li coinvolgono? Ecco, credo che un compito di chi ha ancora a cuore la costruzione di una formazione politica che esca dalle secche di un dibattito tutto ideologico e voglia invece misurarsi sul piano concreto delle proposte per farci uscire da ben altre secche, stia proprio nel trovarli quegli astensionisti, riconoscerli, parlargli, accogliere suggerimenti, incoraggiarli a riprendere una dimensione civica che aiuti loro stessi e gli altri. Gli strumenti ci sono, per cominciare. Gli elenchi elettorali; la distribuzione nei seggi dei vari numeri civici, via per via; i risultati elettorali di quei seggi; i confronti degli esiti nei vari turni elettorali. E il volantino nella cassetta della posta, con la proposta, l’invito a riflettere, a confrontarsi. Come si faceva una volta. Perché non riprovarci?

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