Legge stabilità. Il governo non è una Leopolda

ROMA – Una manovra da 36 miliardi, oltre ogni aspettativa, ben al di sopra dei 20-22 miliardi di cui si era parlato nelle settimane precedenti, ben al di sopra delle cifre esposte dal viceministro Morando, al di sopra addirittura dei 30 miliardi ipotizzati nei giorni scorsi: in pratica, un massacro sociale senza precedenti.

Al che, si impongono due domande: innanzitutto, chi l’ha scritta, oltre a Renzi, questa Legge di Stabilità? Perché ascoltando Morando e le risposte di Padoan ieri in conferenza stampa si percepiva un evidente imbarazzo, come se esistessero due esecutivi: uno formale e uno reale che opera nella stanza del Presidente del Consiglio, lasciando all’oscuro persino coloro che dovrebbero essere i suoi più diretti collaboratori. In secondo luogo: dove vuole andare a parare, di preciso, lo spregiudicato Premier?  Sul punto, sia i giornali ostili sia quelli confindustriali, che ovviamente plaudono ai contenuti della manovra, soprattutto per quanto riguarda il versante delle imprese, sono concordi nel sottolineare le mire elettorali del Presidente del Consiglio. Renzi, infatti, in base a un’analisi che ci sentiamo di condividere, sa bene di non avere un’effettiva maggioranza, come dimostrano le recenti fibrillazioni in Senato e come testimoniano le crescenti perplessità all’interno del suo stesso partito, tanto che oggi Fassina, intervistato da “la Repubblica”, ha messo in dubbio l’impianto dell’intera manovra e sempre oggi Cuperlo, ospite de “L’aria che tira” su La7, ha attaccato pesantemente la scelta di Renzi di convocare i suoi alla Leopolda anziché avviare un’ampia discussione all’interno del PD.

Afferma Fassina, a proposito del salasso imposto a Stato, regioni e comuni: “Sono tagli insostenibili, non si chiedono alle regioni ma alle famiglie per le mense scolastiche; si chiedono ai pendolari che utilizzano il trasporto pubblico; alle persone che hanno bisogno di assistenza; agli studenti che avevano le borse di studio. Si chiedono alle mamme e ai papà per gli asili nido dei figli. Significano anche minori prestazioni nella sanità. E l’impatto recessivo degli interventi sui servizi sociali fondamentali supera l’impatto espansivo connesso alla minore tassazione”. Aggiungiamo, a tal riguardo, che si verificherà un altro fenomeno di cui, evidentemente, né il piè veloce Matteo né i suoi fidi consiglieri economici si sono minimamente preoccupati: i maggiori aumenti di tasse, a fronte dell’annunciata riduzione di trasferimenti da parte dello Stato, avranno luogo soprattutto nelle regioni più povere e più fragili, quelle dove la disoccupazione giovanile supera abbondantemente il cinquanta per cento, quelle dove la dispersione scolastica è una piaga sanguinante, quelle dove un giovane che non studia e non lavora non si limita a stare a casa ma ha forti probabilità di finire nelle grinfie di qualche organizzazione criminale, con un conseguente aumento dei costi per la sicurezza, della rabbia e della disperazione sociale. 

Senza contare l’altro grande non detto di questa vicenda, ossia la reazione dell’Europa. Ora, posto che l’ideologia dominante in quel tempio del liberismo che sarà la prossima Commissione europea può e deve essere sfidato, altrimenti da questo baratro non ne usciremo mai, posto questo e posto che le tensioni sui mercati cui stiamo assistendo in questi giorni sono legate a filo doppio sia al dramma di ebola sia al desiderio del governo greco di liberarsi dal cappio della Troika, è innegabile che se Milano, dopo Atene, è stabilmente il listino peggiore, il Premier non possa scrollare le spalle e far finta di niente. Come non può far finta di niente di fronte al mostruoso rialzo dello spread, che oggi è arrivato addirittura a superare quota 200 punti, perché sa benissimo che questi segnali sono i sintomi di un nuovo attacco speculativo nei confronti dei paesi più deboli dell’eurozona; il che rischia di riportarci indietro di tre anni, vanificando le lacrime e il sangue versati finora. Come pensa, il nostro eroe senza macchia e senza paura, di non sforare il tetto del 3 per cento se dovessero innalzarsi ulteriormente, come del resto sta già accadendo, i tassi di interesse sui titoli del nostro debito pubblico? Ha idea di quali rischi comporti una spesa in deficit di 11,5 miliardi in un Paese costretto a fare i conti con continue emergenze, dovute alla speculazione edilizia, alle ruberie, alla pessima amministrazione della cosa pubblica che si protrae da almeno trent’anni nonché all’oggettiva delicatezza delle zone più belle d’Italia? Si rende conto che né la conferma degli 80 euro né l’eliminazione dei contributi per i primi tre anni né l’abolizione della componente lavoro dall’IRAP creeranno un solo posto in più, per il semplice motivo che a mancare non sono né le braccia né la volontà dei lavoratori ma gli investimenti e il sostegno pubblico alle imprese? Si rende conto che gli stessi 80 euro, dati in questo modo, non sortiranno alcun effetto, per il semplice motivo che il massacro sociale a carico di regioni e comuni finirà col gravare drammaticamente sui singoli cittadini e, in particolare, sulle fasce più deboli della popolazione? La risposta a tutti questi interrogativi è: sì, se ne rende perfettamente conto, solo che non gliene importa granché, per non dire proprio nulla.

Come abbiamo detto già altre volte, Renzi è un buon politico ma non uno statista: a lui interessano le prossime elezioni, non le prossime generazioni, quando non sarà più al governo e a dover rimettere i conti in ordine e il Paese a posto sarà qualcun altro. Renzi vuole votare e per votare ha bisogno di una manovra che distribuisca qualche caramella qui e là, del sostegno di Confindustria e dei poteri forti, della campagna elettorale a tempo permanente effettivo dei mezzi d’informazione e di trascinare l’Italia nel lavacro elettorale prima che arrivino le sanzioni europee e che gli italiani patiscano sulla propria pelle le amare conseguenze di questa propaganda senza requie.

Il guaio è che non è nemmeno tutta colpa sua, povero Renzi! Non è colpa sua se negli ultimi trent’anni la politica è stata praticamente abolita fino a risultare detestabile agli occhi della stragrande maggioranza della popolazione; non è colpa sua se la sinistra è stata talmente subalterna al pensiero unico liberista che oggi, persino di fronte a una manovra del genere, qualcuno ha avuto il coraggio di scrivere che è di sinistra; non è colpa sua se l’unica formazione politica e culturale che ha avuto la sua generazione è stata rappresentata dal “Drive In” e dalle televendite in onda sulle reti Mediaset; non è colpa sua se oggi la parola “partito” è diventata pressoché impronunciabile; non è colpa sua se due generazioni sono state escluse da qualunque forma di tutela e di diritto, al punto che oggi, pur di lavorare, sono pronte a solidarizzare con chi le costringerà a farlo in condizioni di semi-schiavitù; non è colpa sua se l’assalto dei poteri bancari e finanziari alle costituzioni del dopoguerra, alle istituzioni democratiche che ne incarnavano lo spirito e ai corpi intermedi che ne portavano i contenuti nel seno della società ha reso accettabile, agli occhi di milioni di persone, lo stravolgimento dei princìpi e dei valori per i quali i nostri nonni hanno combattuto sui monti della Resistenza e non è colpa sua, infine, nemmeno il fatto che all’interno del PD dominino ormai quei trenta-quarantenni convinti che basti una Leopolda per creare una classe dirigente all’altezza di guidare una Nazione ridotta allo stremo. Non è colpa sua, non è colpa loro: Renzi e i suoi sodali altro non sono che il frutto di tutto questo sfacelo e, non essendo affatto stupidi, hanno pensato bene di approfittarne per mettere in salvo almeno se stessi.

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