Caso Ruby. L’appello riduce le pene a Mora, fede e Minetti

ROMA – Il ricorso in Corte d’Appello per il processo Ruby bis si chiude con la conferma delle condanne di Lele Mora, Nicole Minetti ed Emilio Fede ma con una riduzione delle pene: in primo grado l’ex direttore del Tg4 e Mora erano stati condannati a 7 anni, ora portati a quattro e 10 mesi per Fede e 6 anni ed un mese per l’ex  talent scout, mentre per l’ex consigliere della regione Lombardia la pena, da 5 anni, è stata ridotta a 3., essendole state riconosciute le attenuanti generiche.

Anche in questo processo, costola di quello che vede Silvio Berlusconi assolto in Appello per i reati di concussione e induzione alla prostituzione legati alla vicenda Ruby, i giudici adottano il low profile: cade per Fede l’accusa di induzione alla prostituzione delle ragazze maggiorenni “per non aver commesso il fatto”, mentre l’ episodio relativo alla giovane marocchina è stato riqualificato come tentativo di induzione alla prostituzione. Da qui la pena ridotta a 4 anni e 10 mesi. Nonostante ciò la notizia è accolta con “amara sorpresa” da Fede e diventa spunto per una polemica che gravita attorno all’indignazione per il peso che in campo giudiziario assumono le serate di Arcore, nonché per il fatto che la storia della politica sia stata scritta negli ultimi tre anni attorno a queste vicende. L’ex direttore, pur accogliendo -e come non potrebbe- la sentenza, agita ancora lo spettro della persecuzione giudiziaria, tanto caro a Berlusconi e alla sua frangia di sostenitori.

D’umore opposto è Mora, che si dice soddisfatto ed addirittura emozionato dalla sentenza che nei 6 anni ed un mese inflitti dal giudice fa rientrare anche la pena comminata nel 2011 per il reato di bancarotta fraudolenta della sua società:  “Sono emozionato, perché, se fossi finito in carcere di nuovo, il mio fisico non avrebbe potuto reggere.”

I legali della Minetti, invece, si appellano alla questione territoriale per richiedere in Corte di Cassazione l’annullamento della sentenza, ritenendo infatti che il processo vada celebrato a Monza e non a Milano e convinti dell’innocenza della loro assistita, alla quale, la famosa notte della telefonata dell’ex Cavaliere alla questura di Milano, fu affidata l’allora minorenne Karima el Magrough.

Condividi sui social

Articoli correlati