Unioni civili, il vero problema: le filiazioni. Intervista a Andrea Catizone

ROMA – È ancora aperto il dibattito sul ddl Cirinnà che vede coinvolte forze politiche appartenenti sia alla maggioranza che all’opposizione, chiediamo dunque all’ avvocato  Andrea Catizione specializzata in diritti dei minori nonchè membro del Comitato Media e Minori al Ministero per lo Sviluppo, quali sono le luci e le ombre di questa riforma.

Il disegno della legge Cirinnà sulle unioni civili poteva essere incardinato solo in Aula perché bisognava dare precedenza alla finanziaria, presentata recentemente, tuttavia il testo del ddl comprensivo di emendamenti è pronto da tempo, ormai: non Le sembra che questo ritardo sia in qualche modo voluto, quasi ad aspettare la fine del Sinodo sulla famiglia?

 Sicuramente i tempi parlamentari non sono casuali, dicono molto sulla volontà di affrontare o meno un tema. Comunque dall’attuale maggioranza, rispetto ad altre volte in passato in cui sono stati fatti vari tentativi, questa volta la questione è stata presa di petto. Però, evidentemente, equilibri interni ad essa non permettono di trovare ancora una quadratura del cerchio.  Più che sul tema delle unioni civili, che è di fatto già un compromesso, cosa che dimostra che una convergenza c’è già, il problema riguarda il rapporto di filiazione che poteva essere affrontato in maniera diversa. 

Quanto pesa oggi la Chiesa in un paese che si dichiara laico, ma che a tutti gli effetti non lo è? Molti politici, fanno fronte comune per osteggiare il riconoscimento delle unioni civili e soprattutto tra persone dello stesso sesso spesso con dichiarazioni che mal celano un che di populista, questo significa che ci si fa portavoce di un sentire comune. L’Italia quindi non è pronta a questo tipo di mutamento che la legge impone? 

No. Pensiamo ad esempio alla Spagna che è un paese supercattolico dove comunque le unioni civili ci sono già, in Italia invece regna una forte immaturità culturale. Il fatto che la Chiesa sia fisicamente collocata sul nostro territorio ha un valore non solo simbolico ma molto più forte, 

Il Vaticano qui, avendo un lavoro anche “politico” da fare per cercare nuovi consensi, spesso si intromette in settori che non gli competono.  Tuttavia consideriamo anche che la Chiesa oggi sta facendo dei passi avanti: la comunione ai divorziati è un riconoscimento del fatto che la famiglia può essere anche divisa.

Il 21 luglio scorso la Corte Europea di Strasburgo ha condannato l’Italia per la mancanza di un riconoscimento alle unioni tra persone dello stesso sesso e in  effetti questo vìola i diritti fondamentali protetti dalla Convenzione europea. Quanto può fare ancora l’Unione in questo frangente?

Ciò che l’Europa doveva fare l’ha fatto.

Quel che è interessante è il punto di vista della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, perché, diversamente dal nostro Paese che si approccia al problema in modo ideologico, la Corte si basa invece su interpretazione di disposizioni giuridiche, di norme e di diritti. È così che bisognerebbe affrontare queste tematiche, non in maniera ideologica, non in maniera culturale, ma attraverso l’interpretazione di norme giuridiche. Ponendosi queste domande:

  • Perché talune persone hanno dei diritti e talaltre no?
  • Perché il principio di uguaglianza viene violato?

Questo è quello che avviene nel nostro paese in questo ambito

È questo che fa la Corte Europea, il tema dell’orientamento religioso non viene minimamente sfiorato e invece da noi c’è sempre una contrapposizione tra laici e cattolici, ma non può funzionare così.

 È proprio in modo ideologico che, sia dal centro destra sia dal Pd stesso, la legge è stata criticata, perché le unioni civili tra coppie gay sarebbero per regime giuridico troppo vicino alla nozione di matrimonio, comportando la incostituzionalità della riforma: l’art 29 Cost. si riferisce infatti ai coniugi come a persone di sesso diverso.

Se si pensa però che in breve tempo si è raggiunto addirittura  un accordo sovra partitico per varare una riforma costituzionale, quale quella del Senato, passata nonostante gli 82 milioni di emendamenti, non si  conferma che tutto ciò che manca è la volontà politica di approvare questa riforma?

Questo è già superato, perché la legge Cirinnà non parla di matrimonio ma di unioni civili, per cui l’art. 29 della Costituzione non viene minimamente sfiorato, semmai viene violato l’art 3 della Costituzione: il principio di uguaglianza. Di fondo, che si chiamino unioni civili o in altro modo, in termini  di riconoscimento di diritti  i passi avanti sono notevoli con questo ddl.

LIMITI

 Il testo della legge tratta molti punti tra i quali la stepchild adoption che permetterà di riconoscere i bambini già figli biologici di un membro della coppia gay, con molti limiti però. Uno di questi è che il minore non acquista parentela, avendo quindi meno diritti di un qualsiasi altro bambino nato da una coppia eterosessuale. Questo e quali altri limiti della legge Cirinnà dovrebbero essere superati per raggiungere l’applicazione del diritto di uguaglianza sostanziale in Italia? 

Il tema è proprio questo: le filiazioni. I contrasti principali sul ddl non vengono dal riconoscimento delle unioni civili, su cui ormai è stato trovato un accordo. Il problema è il rapporto di filiazione, cioè il riconoscimento alle persone dello stesso sesso di poter adottare dei figli: è su questo che c’è un grande dibattito. Io sono strettamente d’accordo con il ministro Orlando che si è aperto tantissimo sul tema delle unioni civili e della stepchild adoption ma credo che un dibattito sia necessario, perché necessario è che questo tema venga approfondito. Non si può dare per scontato che tutto si possa fare insieme, ci deve essere comunque una valutazione  di senso dell’unione. È necessario porsi questa domanda: qual è la situazione migliore per il bambino? Questo perché sul piano dei diritti non esistono solamente i riconoscimenti degli attivisti per tutelare i genitori ma ci sono anche i diritti dei minori che si trovano in una situazione che non hanno scelto. Bisogna essere prudenti e fare un adeguato bilanciamento di interessi.

È necessario partire da questo per creare la migliore disciplina possibile in merito che, è bene sottolinearlo, va a giuridicizzare una situazione che esiste già.

La stepchild adoption non è di certo stata inventata, in Italia ci sono già tanti bambini che vivono in famiglie omosessuali, è il riconoscimento giuridico che si vuole dare ad una situazione preesistente che è oggetto di discussione, una discussione in cui non si può fare a meno di questa valutazione: se in una famiglia omosessuale la madre biologica muore, il bambino ad oggi non resta affidato all’altra madre, e, mettendo il caso che il minore abbia vissuto 15, 16 anni  in una tale famiglia crescendo con due madri, perché il suo legame affettivo non dovrebbe avere un minimo di riconoscimento? Dato che secondo la legge attuale sarebbe dato in adozione.

Il problema deve essere posto quindi nei termini della crescita e dell’educazione equilibrata di questi bambini. Bisogna partire da questo, io sono in particolar modo interessata ai diritti dei minori e penso che probabilmente sarebbe stato necessario che fosse affrontato prima il tema delle unioni civili e poi delle adozioni. In questo senso la Cirinnà ha dei limiti, perché non è che la modifica delle disposizioni attuali crei una situazione nuova, una legge sulla società, quale è questa, non modifica o crea ex novo una situazione, ma la disciplina.

 Quali altri limiti ci sono a suo parere?

Altri limiti non ce ne sono, almeno formalmente, perché sebbene gli omosessuali volessero il riconoscimento del matrimonio, le unioni civili sotto il profilo dei diritti patrimoniali sono equiparate ad esso a tutti gli effetti, è sotto il profilo sentimentale che le coppie gay si sentono discriminate perché queste unioni non si chiamano “matrimonio”. Quindi, secondo me, la questione assume un valore prettamente simbolico, non giuridico.

Flavia Di Lena

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