ROMA – Nella capitale, presso l’hotel “Domus Romana”, accolti in una sala gremita e adorna d’opera d’arte, abbiamo assistito a uno spettacolo che si è occupato del rapporto problematico fra giustizia ed opinione pubblica.
La strage di Milano ha reso di stringente attualità le tematiche affrontate dal monologo scritto e recitato da Salvatore Cosentino. L’autore, magistrato e docente universitario, ha preso spunto dalla sua esperienza diretta maturata nei tribunali e nelle aule universitarie per far luce sul mondo variegato e troppo spesso intricato della giustizia. In alcuni momenti le parole di Cosentino hanno lasciato spazio alla visione di spezzoni di classici del cinema italiano, esemplificativi della cultura popolare degli anni ’50, ‘60, ’70 e dell’ immagine pubblica di giudici, magistrati, avvocati. Lo spettacolo è stato altresì impreziosito dall’ accompagnamento al piano di Carla Petrachi. La musica, il testo, il canto sono mezzi espressivi che Cosentino ha messo al servizio delle convinzioni che ha maturato nei suoi lunghi anni di attività. Val la pena soffermarsi brevemente sui contenuti, i quali per la loro rilevanza predominano su una forma spesso limpida e affascinante (bella l’ interpretazione di “Un giudice” di De Andrè), meno armonica nella seconda parte dello spettacolo a causa dell’ affastellarsi di citazioni non sempre necessarie (pensiamo anche all’uso suprefluo di “It’ s wonderful” di Paolo Conte).
Cosentino ha affrontato il tema con onestà intellettuale, evidenziando i limiti e i pregi degli attori sociali coinvolti. Ha lanciato frecciate ironiche ai politici che denigrano la giustizia, ma anche a quei giudici che agiscono in malafede o che hanno perso il senso del limite ritenendosi presuntuosamente depositari di verità assolute. Nella prima parte dello spettacolo, lineare, chiara, efficace, l’autore ha proposto un excursus storico ponendo in evidenza la progressiva perdita di fiducia collettiva, sempre più drammatica, nei confronti del mondo giudiziario. E’ avvenuto progressivamente uno scollamento con la popolazione e talvolta con la realtà quotidiana. Si è aperta una ferita che va risanata, ricucita. Cosentino ha ironizzato sulla terminologia contorta del diritto, che ha allontanato le leggi dall’ uomo. Un linguaggio spesso utilizzato come strumento di potere o come maschera per nascondere debolezze tipicamente umane. Il ritorno all’ “uomo” per Cosentino è necessario tanto nel codice quanto nel nostro modo di considerare persone che fanno un lavoro difficilissimo. Giudicare è un compito ingrato, talvolta si preferirebbe piuttosto essere giudicati. La fallibilità umana è testimoniata dalla difficoltà di eliminare gli stereotipi che ciascuno utilizza per valutare le persone che ha intorno. Attenzione, rigore morale, onestà con noi stessi e con gli altri sono gli unici antidoti di cui disponiamo. Per il resto l’autore ci ricorda opportunamente che si giudicano sempre i fatti e gli atti, mai le persone. Lo terremo a mente anche noi, valutatori fallibili di creazioni umane appassionate, imperfette, significative. Come quella ideata da Salvatore Cosentino, proposta con la voglia ed il coraggio di chi sa mettersi in gioco.
Monologo scritto e recitato da: Salvatore Cosentino
Accompagnamento musicale: Carla Petrachi