Marta Marzotto, una favola italiana

Ci lascia Marta Marzotto, che nacque Vacondio ottantacinque anni fa, in quel di Reggio Emilia, e realizzò, negli anni Cinquanta, il sogno di tutte le ragazze di umili origini dell’epoca: sposò il conte Marzotto e da allora ebbe una vita ricca di incontri, conoscenze, soldi e apprezzamenti, sia a livello nazionale che sulla scena internazionale.

La signora della moda e dei salotti, la musa passionale di Renato Guttuso, un po’ radical chic ma senza mai scadere nell’alterigia e nella supponenza, sfarzosa ma al tempo stesso discreta, capace di stare come pochi sotto i riflettori e di amare la vita fino alla fine, andandosene senza grancassa mediatica, in punta di piedi, evitando di trasformare una tragedia personale in una sorta di reality show.

Che dire, dunque, di questa donna poliedrica e affascinante, elegante ma mai pacchiana, dotata di una bellezza e di un fascino naturali e di una spontaneità che sopravvisse anche al fatto di essere diventata ormai una specie di diva, abile nel circondarsi di alcuni dei più grandi intellettuali italiani e nello schivare con accortezza la cialtroneria dilagante in questa stagione caratterizzata dalla cafonaggine e dal cattivo gusto?

Che dire di quest’animatrice di mille serate e di innumerevoli eventi, sempre al centro della scena, fino a tarda età che ora ci manca, se non altro perché ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni sua intervista rievoca in noi un tempo perduto, facendoci salire la nostalgia per un garbo e una gentilezza d’animo oggi desueti?

Che dire di questa sognatrice che ha vissuto per oltre mezzo secolo in una grande favola e ha saputo trarne il meglio, facendo perno su una personalità fortissima e irriverente di cui pochi dispongono e che è stata, al contrario, la sua cifra distintiva?

L’unica parola che ci viene in mente è: grazie. Grazie per essere rimasta se stessa fino alla fine, grazie per aver trasmesso alla nipote Beatrice lo stesso garbo e la stessa sana passione per la vita, grazie per essere stata capace di dominare senza mai farsi davvero odiare e per essersi saputa far rimpiangere quando il sipario ha iniziato a calare e le luci della ribalta hanno ceduto il passo all’oblio.

Grazie Marta: sono poche le figure del tuo livello delle quali si possa ancora dire che, in fondo, sono rimaste umane.

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