540mila in pensione dal 1980. Perché così pochi?

Ha suscitato molto scalpore il dato diffuso dall’Inps relativo alla decorrenza degli assegni pensionistici. Secondo l’Istituto temporaneamente guidato da Boeri sono circa 540mila i trattamenti previdenziali da anzianità, vecchiaia e reversibilità in pagamento da almeno 36 anni, ovvero liquidate nel 1980 o prima.

In particolare sono in pagamento, come si apprende dalle tabelle Inps sugli anni di decorrenza delle pensioni di vecchiaia ed anzianità e ai superstiti del settore privato e pubblico, circa 475mila trattamenti derivanti dal settore privato e circa 65mila derivanti dal pubblico. E’ necessario ricordare come siano esclusi sia gli assegni di invalidità previdenziale, sia quelli agli invalidi civili, sia gli assegni sociali.

Il dato secco. Sono troppe

Se ci si limita a leggere il dato secco, così come è fornito, questo numero potrebbe sembrare alto, troppo alto. Le pensioni risalenti a quell’epoca ‘premierebbero’ circa l’un per cento della popolazione e secondo la consueta, e apparentemente sempre gradita, narrazione giornalistica costituirebbero un grande ostacolo allo sviluppo del paese.

Il dato ragionato. Non sono poche, sono pochissime

Se però ci si sofferma un istante a ragionare sul dato il numero di trattamenti potrebbe essere fin troppo basso.

Vediamo perché.

Nel 1980 l’età media di pensionamento di vecchiaia nel settore privato era di circa 54 anni, i pensionati a quell’età nel 1980 hanno oggi almeno 90 anni. Ma i residenti in Italia al 1° gennaio del 2016 che abbiano un’età pari o superiore a 90 anno non sono certo 540mila. Sono molti, molti di più. In particolare sono circa 690mila, un numero ampiamente coerente con il numero di pensioni ante 1980 anzi ci si chiede a che età siano andati in pensione i 150mila ultra 90enni che non si godono la pensione da 36 anni.

Nei dati, nascosta, una chicca

Ma un’altra chicca è nascosta nei dati Inps. L’età media di accesso a pensione di vecchiaia nel corso del 2015 è stata infatti pari a 62,5 anni per i lavoratori privati e a 66,8 per i dipendenti del settore pubblico, una disparità che verrà però riassorbita nei prossimi anni, ovviamente con un livellamento verso il peggio.

Però i dati ci dicono anche altro

Il problema sollevato dai dati è però realmente esistente, e riguarda l’età al momento della decorrenza dell’assegno, ovvero l’età che il titolare di pensione aveva quando hanno cominciato ad essere pagate queste pensioni. In particolare nel settore privato sono tuttora erogate 188.436 pensioni di vecchiaia con una età media alla decorrenza pari a 54,9 anni; 439.718 pensioni di invalidita’ (44,5 l’età media alla decorrenza) e 286.542 pensioni ai superstiti (41,35 anni l’età media alla decorrenza) per oltre 914.696 assegni complessivi (45,66 l’età alla decorrenza). Ma va comunque sottolineato come gli assegni di invalidità vadano comunque esclusi.

Nel pubblico invece le pensioni dei dipendenti erogate prima del 1980 sono 4.573 per la vecchiaia, con un’età media al momento della decorrenza pari a 55,7 anni, 33.654 per l’anzianita’ (47,4 anni l’età media alla decorrenza), 16.573 per i superstiti da assicurato (41,7 anni l’età alla decorrenza) e 10.663 per il superstite da pensionato (46,3 l’età media alla decorrenza).

Quindi anche la classe di pensionati più giovane tra gli ante 1980, ovvero i pensionati di reversibilità, che avevano 41,35 anni mediamente nel privato e 41,7 nel pubblico, oggi hanno mediamente 77 anni suonati e continuano ad essere vedovi o vedove. In che termini quindi sarebbe possibile intervenire sui loro assegni senza sfociare in manovre disgustose?

E anche alla classe dei pensionati di vecchiaia o di anzianità, gente che comunque aveva tra i 47,4 anni ed i 55,7 anni nel 1980, o prima se sono in pensione da prima, e che quindi oggi ha tra gli 83 ed i 92 anni di media, come minimo; a questa classe di persone decisamente anziane oggi, realisticamente, cosa vorreste fargli?

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