Professione giornalista. Scuole private fino a 20 mila euro, nel mercato senza futuro

ROMA – Come si diventa oggi giornalista in Italia? Allo stato attuale esistono due differenti strade per poter fare gli esami di Stato ed entrare così nell’Albo professionale: la prima consiste nell’iscrizione da parte del datore di lavoro (l’editore) all’albo del praticantato, corso che ha una durata di 18 mesi, finiti i quali si ha la possibilità di sostenere gli esami; il difetto è che regolamentando la posizione del tirocinante la pratica sarebbe troppo onerosa per l’editore.

Per questo i più consigliano, ai candidati futuri giornalisti, la seconda opzione, la quale prevede l’ammissione, sotto previo concorso, ad un corso “formale/accademico” dato dalle scuole di giornalismo che allevierebbe i costi delle redazioni garantendo a queste una maggior libertà d’azione sulle scelte redazionali, innescando un gioco d’interessi fra scuole private e statali e le dette redazioni – in un meccanismo tagliagole che non lascia via di fuga per i  candidati.
La spesa per gli studenti che superano il concorso oscilla fra i dieci e i venti mila euro per i due anni di formazione (una spesa folle se pensiamo che alcune di queste scuole appartengono al novero delle pubbliche università, le quali come tali hanno benefit statali, da ciò non si spiega il valore degli alti costi per la scuola di giornalismo!), a fronte di paghe sempre più misere per i neo giornalisti assunti con contratti a progetto nelle varie redazioni, aspetto non secondario nella questione che stiamo esaminando.
Certo le scuole prevedono al loro interno delle borse di studio, ma questo pare più un privilegio per pochi che una possibilità per i tanti, o se si vuole un risarcimento morale per i tanti, il merito riconosciuto per i bravi, ed anche una questione irrisoria per quei pochi per i quali la fatica della spesa non è mai pari per chi non riesce a chiudere il mese senza aver contratto un piccolo debito.
Altra pratica utilizzata e sempre più di moda è la presenza dei giornalisti/collaboratori a costo zero, ossia i dipendenti/giornalisti che contribuiscono alla copertura dei servizi senza alcuna retribuzione e spesso senza neanche un rimborso spese.
La questione che solleviamo alle dette redazioni è la seguente: come abbiamo riportato nel precedente articolo sappiamo che la maggior parte delle grandi redazioni ricevono importanti sovvenzioni dallo stato per il tiraggio delle copie ma non per il venduto, che abbasserebbe notevolmente gli introiti – precisazione non da poco, se pensiamo che, una gran fetta di questi quotidiani, sopravvivono grazie alle sovvenzioni statali, e al fatto che gli stessi con quei soldi vivano una seconda vita nel web, permettendo una cura maggiore verso i servizi proposti e non perdendo la temporalità delle notizie stesse, come si suole dire, rimangono nel tempo attuale! -; Gli si chiede allora che fine facciano queste sovvenzioni, ovvero se le paghe dei giornalisti necessitano di una ri-definizione contrattuale, a chi e come vengono spesi questi soldi?
La richiesta prim’ancora che di una redazione on-line viene rivolta dai cittadini, i quali pagano a loro insaputa un servizio utile per la comunità stessa, l’inform-azione, per scoprire poi che quei loro soldi hanno una destinazione spesso ignota, o se nota, sempre verso i soliti grandi direttori e affiliati.
Si dimezzino i grandi stipendi per consentire l’integrazione di quei numerosi giornalisti che lavorano per la gloria, si faccia una piccola re-distribuzione dei costi all’interno delle redazioni; sia l’ordine stesso a garantire questa presa di coscienza che non è più del singolo ma di una comunità/società che non accetta più privilegi e privilegiati.
Attualmente in Italia esistono dodici/quattordici scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti – la discrepanza è fra quanto riportato ad esempio nel sito dell’Ordine, che ne prevede quattordici, e quanto riportato ad esempio nel sito dell’Università di Urbino, che ne prevede solo dodici -; le scuole, con modalità differenti, garantiscono agli allievi i 18 mesi di praticantato necessari a sostenere l’esame per diventare professionisti.
Il numero degli allievi e i requisiti per l’ammissione variano a seconda della disponibilità delle singole scuole. La durata dei corsi è biennale e la frequenza è obbligatoria e a tempo pieno. Gli studi teorici sono abbinati ad attività pratiche.
Per questo ogni scuola deve avere almeno una testata-laboratorio redatta dagli studenti. Durante i mesi estivi – e in alcuni casi anche durante le vacanze natalizie – gli allievi lavorano come stagisti in redazioni regionali e nazionali, il sopra citato lavoro gratuito.
La seconda riflessione in merito a questa pratica è che questi lavori non solo non sono retribuiti, o se lo sono, la paga è decisamente misera, ma questo non dà alcuna garanzia futura al candidato per l’assunzione nella redazione.
Necessitante al riguardo una presa di posizione forte dello stato contro questa pratica vigente, ed è qui di fatto che casca l’asino, una buona fetta dei giornali nostrani sono una vetrina per partiti e politici di professione, ai quali risulterebbe ostico smascherare un sistema di dubbia liceità, morale e professionale.
Morale perché di fatto si incrementa la pratica del lavoro in nero e mal pagato, in quello che potremo definire lo sperpero costante dei soldi pubblici, investiti per le esose paghe dei direttori e affiliati.
Professionale perché in questo modo viene meno la garanzia per il lavoratore di essere riconosciuto come tale e di sentirsi sempre più marginalizzato nella nutrita schiera dei precari e degli instabili.
In ultimo una piccola nota di servizio:
di recente è stato stabilito un piano di stabilità, imposto dalla Ue, nel quale sono state inserite alcune direttive  che richiedono l’abolizione di tutti gli ordini  professionali, nessuno escluso.
Questione alquanto controversa di per sé, ma complicata per l’ordine dei giornalisti, in quanto al suo interno si hanno due albi distinti, da un lato i giornalisti-professionisti (tutelati dall’articolo 33 della Costituzione) dall’altra i pubblicisti che non hanno sostenuto esami di Stato in quanto svolgono l’attività giornalistica non come principale occupazione.
Le linee guida dettate dalla Ue prevedono dodici mesi di tempo agli ordini per organizzarsi e trovare delle soluzioni come ad esempio l’istituzione di associazioni  professionali.
La risposta non dovrà né potrà farsi attendere. Intanto riportiamo qui di seguito il comunicato apparso nella home page dell’Ordine dei giornalisti in questi giorni, come a definire che le priorità per l’Ordine sono altre – riportiamo integralmente il testo:
Il Coordinamento degli Enti di categoria dei giornalisti italiani (composto dai vertici di Ordine-Fnsi-Inpgi-Casagit-Fondo Integrativo) dopo essersi riunito ieri, lunedì 5 dicembre, presso la sede dell’Istituto di previdenza per analizzare il Decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri, ha diramato il seguente comunicato congiunto.

“Inevitabile il rigore, necessaria la ricerca di una maggiore equità, ineludibile una spinta alla crescita che interessa anche il settore giornalistico che ha assistito, solo nell’ultima settimana, alla sospensione delle pubblicazioni da parte di tre quotidiani.
Di fronte alla grave crisi che vive il Paese, il Coordinamento degli Enti di categoria dei giornalisti italiani torna ad auspicare un forte coinvolgimento da parte del Governo e del Parlamento nell’ottica di provvedimenti che raggiungano il massimo dell’ equilibrio sui versanti ordinistici, previdenziali e di mercato del lavoro.
È il caso della previdenza privata, della quale fa parte l’Inpgi, raggiunta da una norma che aumenta da 30 a 50 anni la sostenibilità dei conti rilevati nei bilanci tecnici.
L’istituto di Previdenza dei Giornalisti Italiani, proprio in queste settimane, ha portato a termine una riforma, approvata dai Ministeri dell’Economia e del Lavoro, che pone in sicurezza i conti con un patrimonio sempre crescente nei 50 anni, rispondendo puntualmente proprio a quel criterio di sostenibilità che viene ritenuto centrale dalla nuova norma.
Ogni ulteriore elemento di equità che fosse applicato al sistema va affrontato con equilibrio e in un orizzonte temporale sufficiente a consultare gli Organi preposti proprio in virtù dell’ autonomia degli Enti ribadita anche dal Consiglio dei Ministri.
Appare molto stringente e di impossibile applicazione la data del 31 marzo 2012 come frontiera ultima della verifica dei conti prospettici dell’intero sistema previdenziale privato.
La garanzia di equità tra generazioni si incardina anche nella transizione dei sistemi che risulta complessa in virtù di una stratificazione di norme e metodi di calcolo che si sono sviluppati, dentro ogni singola categoria professionale, negli ultimi decenni”.

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