Mauritania. Discriminazione razziale, una lunga storia di schiavitù

NOUACHOTT – Biram Dah Ould Abeid, Cheikh Ould Abidine et Aliyine Ould Mbareck Fall, tre membri di un ONG che lotta contro le diverse forme di schiavismo in Mauritania sono stati condannati il 6 gennaio ad un anno di prigione.

Erano stati arrestati a dicembre 2010 da un blitz delle forze di sicurezza presso la sede della loro organizzazione IRA, après avoir dénoncé le fait que deux jeunes filles, âgées de neuf et’Initiative pour la Résurgence du Mouvement abolitionniste en Mauritanie (iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista in Mauritania, organizzazione non legale in Mauritania perché legata al FLAM (Forces de Libération Africain de Mauritanie Forza di liberazione africana della Mauritania), il movimento partito nato il 14 marzo 1983 per combattare contro la discriminazione razziale e la schiavitu’ in Mauritania. I tre militanti avevano denunciato la segregazione a fini di schiavismo di 2 ragazze di 14 anni presso l’abitazione di un funzionario dello Stato. Biram Dah Ould Abeid ha dichiarato di essere stato picchiato durante l’arresto e di non aver ricevuto le cure nella prigione di Nouakchott ove é tuttora detenuto insieme ai suoi due compagni di lotta. L’accusa che ha portato alla condanna dei tre militanti é di aver svolto attivita’ politica non autorizzata. Erwin van der Borght, direttore del Programma Africa di Amnesty International ha rilasciato una dichiarazione molto dura chiedendo l’immediata scarcerazione dei tre uomini senza alcuna condizione, affermando che l’arresto ha avuto l’unico fine di nascondere la verita’ sullo schiavismo tuttora tollerato dalle autorita’ a 30 anni dalla legge che lo aboliva trasformandolo in un reato da almeno 10 anni di prigione. Lo schiavismo in Mauritania é una piaga sociale che s’intreccia con il problema razziale e che tuttora contrassegna la struttura sociale ed economica del paese africano. Storicamente la schiavitu’ in Mauritania si presenta in forma molto diversa dalla iconografia occidentale dei campi di cotone del sud degli Stati Uniti. Un termine di paragone può essere la schiavitu’ nell’antica Grecia corretta dalle regole di acquisizione della liberta’ in vigore nella antica Roma repubblicana. Nelle comunita’ nere prima della diffusione dell’islamismo gli schiavi erano sostanzialmente prede di guerra o di razzie ovvero appartenenti a gruppi etnici dediti a lavori subordinati o ad attivita’ ritenute non dignitose quali il fabbro (forgeron) o il falegname (bucheron). Essi vivevano con le loro famiglie nelle proprieta’ del padrone e svolgevano per esso lavoro servile. Il padrone concedeva alimentazione alloggio e protezione per tutti i componenti della famiglia dello schiavo, le donne svolgevano attivita’ di cura della casa e di accudimento dei minori. Il padrone generalmente decideva sui destini di dei componenti di tutta la famiglia (matrimonio, separazioni, eredita’ in caso di decesso) e poteva disporre punizioni corporali in caso di offesa al prestigio della sua famiglia o a gravi e conclamate mancanze nei doveri quotidiani.

 

Gli schiavi generalmente non possedevano nulla ed ogni loro bene materiale (dagli oggetti al bestiame) era insindacabilmente proprieta’ del padrone che poteva in qualsiasi momento privarne lo schiavo dell’utilizzo: il latte o la carne degli animali tenuti ed allevati da schiavi  era distribuito dal padrone secondo la regola “a tutti in parte eguale” (un comunismo primitivo). L’arrivo dell’Islam inizialmente determinò una rivoluzione sociale ed antropologica. Infatti il Corano vieta tassativamente la schiavitu’, rendendola un offesa a Dio. Tuttavia l’interpretazione dei versetti dedicati ai rapporti con i Kafiruna (i miscredenti, i politeisti e gli atei) avevano reso possibile l’adozione di una forma di schiavitu’ legata alle operazioni di conquista e di annessione di popolazioni non appartenenti alla gente del Libro (cristiani ed ebrei). Un’astuzia dottrinaria che ebbe un peso enorme nello sviluppo economico della nazione islamica sopratutto in Africa del Nord. Infatti la disponibilita’ di manodopera a costo dei soli beni di sussistenza e l’appropriazione di terreni, utensili e bestiame permise alle tribu islamiche d’origine araba d’imporre il loro predominio economico-politico su tutta la regione Ovest dell’Africa. Per cui le istanze di libertá e di eguaglianza universale (l’Islam crea il nocciolo duro dell’uguaglianza civile dei diritti umani, andando oltre il messaggio cristiano di fraternitá legata alla paternitá diretta di Dio sull’essere umano) insite nel messaggio del Corano furono rapidamente sacrificate a favore di una nuova forma di schiavitú, ideologicamente ed antropologicamente piú invasiva e socialmente piú solida.

L’arrivo progressivo degli Europei a partite dal 1450 aprí un nuovo mercato quello della vendita degli schiavi. Un mercato in cui tribu arabe e gruppi etnici neri che facevano uso del lavoro servile si allearono nella gestione estremamente redditizia di un commercio che durò praticamente per 4 secoli senza alcun ostacolo di sorta. La Mauritania è stata parte integrante di questo sistema economico-sociale con l’aggravante di un ruolo inedito da parte del colonizzatore francese rispetto alle altre aree dell’Africa: l’appoggio politico-militare ai diversi emiri del paese e alla parte ricca e potente delle comunità fulani (Peul, Haalpular, Toutcolour, Sonninke, Bambara e Wolof). Questo ha praticamente congelato il sistema della schiavitù e del lavoro servile in Mauritania fino all’indipendenza nel 1960. E se le comunità nere hanno progressivamente abbandonato schiavitú e lavoro servile sull’onda del forte movimento abolizionista e della rinascita nera, i gruppi Mauri di origine araba hanno consolidato il loro dominio razziale introducendo forma di libertá dalla schiavitù attraverso il riscatto economico. In questa maniera i neri sono entrati in possesso di importanti appezzamenti di terra fertile nel sud del paese al confine con il Senegal e in corrispondenza del sistema fluviale del fiume omonimo.

 

Il primo presidente della Mauritania Moktar Ould Daddah, figlio dell’educazione socialista e repubblicana  fin dal suo insediamento pose come prioritá nazionale l’identitá negro-mauritana che cancellava di fatto ogni istanza razziale ed ogni forma di servitù, prevedendo una nazione a due dimensioni industriale-mineraria al nord e agricolozootecnica al sud unita alla pesca oceanica. Purtroppo la grande siccitá degli anni 70 ha sconvolto il progetto unitario di Daddah: le agiate popolazioni nere del sud del paese furono costrette ad indebitarsi con i commercianti mauri dando in garanzia le proprie terre e il proprio bestiame, mentre l’ingente aiuto internazionale andava a riempire le cassaforti dei notabili mauri all’insaputa del presidente Daddah. Inoltre la guerra per il Sahara Spagnolo vide Daddah compiere il fatale errore di appoggiare il Marocco e iniziare una sciagurata guerra con i ribelli Saharawi, determinando la nascita della casta dei militari (provenienti da tribu avverse a quella del presidente in carica) e la loro ascesa politica. Nel 1978 il primo colpo di stato militare ridisegna la coscienza nazionale mauritana sfruttando l’arabizzazione voluta da Daddah  per placare i malumori mauri nei suoi confronti per la politica troppo favorevole alla componente nera della popolazione, la più attiva e acculturata del paese. La riforma fondiaria del 1980 fornisce il grimaldello per la svendita dei grandi terreni agricoli del sud del paese: la creazione di mezzadrie permisero alla parte maura della popolazione di usare gli Haratin (i neri schiavi liberati) di prendere possesso delle terre dei grandi latifondi dei Toutecolour e Haalpular. La popolazione nera veniva progressivamente marginalizzata e le epurazioni di funzionari e quadri statali neri, accusati di tradimento o tentativi artificiosi di colpi di stato, trasformarono l’apparato statuale mauritano da multietnico a bidano (bidani é il termine nero per indicare chi proviene da tribu d’origine araba). Per questa ragione nel 1983 nasce il FLAM che raccoglie intorno a se un consenso crescente sopratutto nelle giovani generazioni nere e nell’aprile 1986 pubblicò un manifesto (“Le Manifeste du Négro-mauritanien Opprimé”) per la sovversione dei rapporti di forza economico-sociali a favore della parte nera della popolazione, che se sommata alla componente Haratin rappresentava oramai circa il 65% della popolazione. Ma la divisione dei neri tra Haratin e negro-africani era stata sancita nel 1981 con l’abolizione e la penalizzazione della schiavitù: la parte araba della popolazione s’affrettò a liberare tutti gli schiavi neri, per poi riassumerli negli stessi lavori che svolgevano da schiavi con remunerazioni risibili. In pratica la schiavitù si era ripulita della sua componente ideologico-normativa per rientrare nella struttura economico sociale del paese e cementare l’antropologia del signore mauro che passa il suo tempo in ozio, mentre il nero sgobba per lui.

Le denuncie del Flam e della società civile a nulla valsero, ma divennero un pericoloso boomerang per cui chi denunciava la persistenza del fenomeno schiavista sotto mentite spoglie di lavoro domestico veniva tacciato di operare contro l’unità nazionale e di essere al servizio delle mire espansionistiche del Senegal. I tempi per la pulizia etnica erano maturi, serviva un solo pretesto. Nell’aprile 1989 un agricoltore senegalese peul venne ucciso da un gruppo di commercianti mauri per una ragione di pagamenti mancati. Fu la scintilla di moti violenti a Dakar e a Nouakchott che vivero contrapporsi neri e mauri in saccheggi e pestaggi. Il governo Mauritano accuso il Senegal d’ingerenza e tentativo di realizzare un colpo di stato sfruttando i legami di sangue dei neri del sud con le popolazioni senegalesi. Inizio una vera e propria pulizia etnica compiuta tramite il braccio armato degli Haratin liberi ma di fatto schiavi retributi. Una parte di  Haratin e gruppi di neri organizzati prossimi al FLAM insieme a senegalesi immigrati in Mauritania presero le armi per contrastare le bande di ex schiavi e mauri che armati entravano con l’appoggio della polizia e costringevano intere famiglie a fuggire oltre confine, razziando i loro beni e appropriandosi del loro bestiame, terre e case. Ma le forze armate appaggiorano la componente bianca della popolazione e ben 2000 neri furono uccisi in scaramucce e piccoli combattimenti nel 1990: la rivoluzione nera era solo nelle parole di fuoco di qualche attivita. Di fatto i neri mauritani accettarono passivamente l’esilio e la loro pauperizzazione.

Tra il 1990 e il 1991 furno ben 250000 le espulsioni tra Senegal e Mali di neri africani, mentre a migliaia si contano i morti con esecuzioni sommarie o durante veri e propri pogrom. Tutto questo mentre il FLAM é messo fuori legge e gli intelletuali neri fuggono all’estero (Canada e Stati Uniti in primis) e la guerra tra Senegal e Mauritania sembrava inevitabile. La comunità internazionale reagì in ritardo ma riuscì ad evitare il conflitto, sopratutto per la scarsa volontà del presidente-dittatore mauritano Taya, di non inimicarsi Washington. Nel 1991 si giunse ad una tregua ed alla progressiva fine delle operazioni di pulizia etnica. Del resto tutto il prendibile era oramai passato nelle tasche della componente maura che aveva distribuito terre e case anche agli haratin fedeli costruendo una formidabile alleanza che dura ancora oggi ed ha permesso l’attuale presidente Abdel Aziz, uno degli artefici della pulizia etnica, di diventare l’attuale presidente della Mauritania, vincendo le contestate elezioni del 2009 al primo turno con oltre il 50% dei suffragi. Nasce la diaspora nera mauritana: circa il 10% della popolazione nera della Mauritania vive all’estero.

 

La politica dei rientri non riesce mai a decollare e solo nel 2007 con la presidenza di Sidi Abdallahi l’unico presidente democraticamente elettto in Mauritania dal 1960 il governo manifestava la ferma volontà di risolvere il dossier dei rifugiati, il cosidetto passif humanitaire. Ma il coup d’état di Abdel Aziz ha bloccato il processo. E la sua investitura nell’agosto 2009 sbatte definitivamente la porta alla risoluzzione del problema profughi, dopo una abile demagogica propaganda d’indennizzo delle vittime del biennio 89-91. Una sorta di social card tremontiana a fronte di centinaia di migliaia d’euro depredati dalla notte alla mattina, questo si é rivelato l’indennizzo statale per vittime e rifugiati riempatriati. Oggi la situazione dei diritti umani, della lotta alle nuove forme di schiavitù e alla segregazione razziale é visibilmente peggiorata e la presidenza mauritana dichiara di aver risolto il problema con i 50.000 rimpatri verificatesi nell’ultimo triennio, nega l’esistenza di schiavismo e razzismo rispolverando vecchi slogan degli anni 60, mentre sta svendendo pezzi di terra mauritana a cinesi e licenze minierarie al miglior offerente. Il solo segno di speranza é il piano di sviluppo della SNIM la società nazionale delle miniere che promette un 2011 di sviluppo ed investimento: il DG della SDNIM sa bene che per mantenere le posizioni nel mercato internazionale deve buttare al fiume razzismo e schiavismo, ma non può in alcun modo fare la supplenza di uno Statop sempre più proprietà privata di Abdel Aziz e della sua cricca.

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