Pirateria somala: da scartare ipotesi vigilanti privati sulle navi commerciali

In Italia continua il pressing del Pdl per consentire l’utilizzo di vigilanti privati sulle navi commerciali.

Ipotesi da bocciare perché oltre a mettere in pericolo l’incolumità dell’equipaggio il tenere uomini armati a bordo delle navi mercantili comporterebbe di certo problemi di scalo nei porti commerciali di alcuni Paesi nel mondo in cui  le armi sono proibite

ROMA – In Italia continua il pressing del Pdl per consentire l’utilizzo di vigilanti privati sulle navi commerciali. Nel corso della settimana appena trascorsa una proposta di legge per consentire l’utilizzo di vigilanti privati nelle navi commerciali è stata messa in calendario della commissione Affari Costituzionali della Camera. L’iniziativa parlamentare è partita dal deputato del Pdl Michele Scandroglio. Il parlamentare è uno dei firmatari di una proposta di legge da lui stesso definita a costo zero per il bilancio dello Stato e che metterebbe in sicurezza le navi italiane. Navi che ha spiegato sono sempre più spesso coinvolte in questo crescente fenomeno degli attacchi da parte dei pirati somali. L’On Scandroglio ha anche spiegato che: “la mia è un’iniziativa indispensabile per garantire il diritto alla sicurezza e per scongiurare il rischio che l’armamento italiano si trovi nella condizione di dovere immatricolare le proprie unità con la bandiera di altro Stato, magari dell’Unione Europea, con le evidenti negative ricadute economiche, fiscali e occupazionali che ne deriverebbero per il nostro Paese”. Mai parole potrebbero definirsi ‘sciocche’ e senza fondamento. Anzi potrebbe indurre a credere che via sia un forte ‘interesse’ nella questione.

 

Un interesse generato soprattutto dall’apprensione per la sorte degli ostaggi in mano ai pirati somali, ma forse anche da altro e certamente viziato da sbagliate interpretazioni e una mancata visione della realtà. Infatti, come prima cosa  il tenere uomini armati a bordo delle navi mercantili comporterebbe di certo problemi di scalo. Questo perché ci sono porti commerciali di alcuni Paesi nel mondo in cui  le armi sono proibite.  L’attenzione in Italia sul fenomeno della pirateria marittima nel mare del Corno D’Africa si è riaccesa dopo che l’8 febbraio scorso una petroliera italiana, la  ‘Savina Caylin’ è stata sequestrata dai pirati somali nell’Oceano Indiano. La nave è di proprietà degli armatori napoletani ‘Fratelli D’Amato’ ed è stata abbordata e catturata da un gruppo di pirati somali giunti a bordo di un barchino. In tutto erano 5 predoni del mare che sono riusciti a salire a bordo e ad assumere il controllo dell’unità e a catturare il suo equipaggio di 22 marittimi solo per il fatto di essere armati e agguerriti. A bordo dell’imbarcazione italiana vi sono, oltre a 17 filippini, anche cinque italiani come membri dell’equipaggio, di cui tre campani, due di Procida e uno di Piana di Sorrento.

 

Si tratta rispettivamente del comandante, Giuseppe Lavadera, del terzo ufficiale, Crescenzo Guardascione e dell’allievo ufficiale. Gianmaria Cesaro. Il fatto per questa analogia e per tante altre ha subito riportato alla mente la vicenda dal sequestro del rimorchiatore italiano Buccaneer. La nave venne sequestrata alla vigilia di Pasqua del 2009 per essere poi, rilasciata solo alcuni giorni prima del ferragosto dello stesso anno. Per 118 giorni sedici marittimi, dei quali dieci italiani, fra cui tre campani, restarono ostaggi dei pirati subendo angherie e soprusi. Un fatto questo che ha lasciato un segno indelebile nei loro corpi e menti. Allora come oggi poco si tentò per strapparli ai predoni del mare che li avevano catturati. O meglio si seguì la strada della trattativa sotterranea con il ricorso anche all’intermediazione di terze persone. Alla fine i pirati hanno incassato più di quanto chiedevano e altri hanno anch’essi tratto benefici economici dall’intera vicenda. Addirittura il rilascio degli uomini del Buccaneer è avvenuto anche in cambio di  pirati somali che erano ospitati nelle carceri del Paese africano. L’impegno mostrato in questi giorni da molti parlamentari del Pdl e dal governo italiano non lascia intendere altro che, come allora con il Buccaneer, anche stavolta con ‘Savina Caylin’ l’andazzo sarà lo stesso. Il tentativo in atto è palese e chi conosce gli accadimenti nel mare dei pirati percepisce ampiamente il carattere e l’interesse delle azioni in corso. Su come difendersi dagli assalti dei pirati somali se ne parla da anni. Sulla questione si è aperto, a livello internazionale, un forte dibattito. Tempo fa venne proposta anche l’opzione di armare gli equipaggi delle navi mercantili.

 

Proposta che venne  subito bocciata dagli armatori che la giudicarono controproducente oltre che pericolosa. Il pericolo risiedeva nel fatto che armare i marittimi, membri dell’equipaggio di navi mercantili, avrebbe messo  in pericolo la loro stessa vita. Un fatto questo dovuto soprattutto ad un loro mancato addestramento militare atto a renderli sufficientemente capaci di affrontare i pirati somali. Non è infatti, remota la possibilità che  possano scaturire scontri tra marinai e pirati. Una sparatoria di certo impari e che potrebbe avere conseguenze sanguinose e drammatiche. Inoltre, qualcuno aveva anche fatto presente che la presenza di armi a bordo delle navi mercantili potesse fungere da incentivo per i predoni del mare e spingerli ad attaccare la nave per impadronirsene. Abbandonata questa ipotesi era poi, saltata fuori quella di ricorrere ad guardie armate a bordo. Una soluzione questa, che offre diversi aspetti per lo più negativi,ma che sembra che i parlamentari italiani del Pdl e il governo vogliano a tutti i costi fare loro. Spieghiamo alcune cose. Il fenomeno della pirateria marittima nel mare del Corno d’Africa è in corso da almeno sei anni, dal 2005. Esso ha però visto il suo anno d’oro nel 2009 quando sono aumentati gli attacchi e i sequestri e nelle casse dei pirati somali sono entrati  centinaia di migliaia di dollari frutto dei riscatti pagati dalle società armatrici e dai governi a cui uomini e navi appartenevano. Tra questi ci sono anche i 4 milioni di dollari pagati dall’Italia per il Buccaneer e dalla Spagna per il peschereccio Alakrana. Il fenomeno oltre a provocare un forte aumento dei costi di spedizione, ha costretto le compagnie di trasporto marittimo a cercare di correre ai ripari. SI è cercato anche di trovare nuove rotte per evitare spiacevoli incontri nel mare dei pirati. Qualcuno ha proposto anche di utilizzare, affiancandoli alla flotta anti pirateria marittima internazionale che pattuglia il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano, i contractors privati. Ossia quelle guardie armate private che costituiscono un piccolo esercito che alcune compagnie private mettono al servizio di alcuni Paesi per la difesa dei loro interessi. Paesi come Iraq e Afghanistan. Paesi in cui sappiamo cosa hanno saputo fare queste guardie armate. L’idea che si possa ricorrere all’impiego dei contractors o guardie armate private, che è lo stesso, in operazioni di scorta ai mercantili nel mare dei pirati, ha immediatamente destato molte perplessità nella comunità internazionale. La prima cosa che è venuta in mente è stata che anche pur se venissero stabilita regole di ingaggio, che le compagnie private aggiudicatrici di un eventuale bando di gara internazionale dovrebbero rispettare, è facile, alla luce delle esperienze passate, che in una terra di nessuno anzi un mare di nessuno, com’è  nel caso del mare dei pirati, queste guardie armate private o meglio i contractors potrebbero sentirsi legittimati ad agire ancora di più secondo il proprio arbitrio. E le conseguenze sono facilmente immaginabili. Questo lo dovrebbero sapere bene chi sponsorizza e spinge verso una soluzione simile anche per le navi italiane in quanto è ovvio che quando si parla di guardie private a bordo di navi mercantili italiane non si parla certo di vigilantes come quelli che vediamo fuori alle banche nelle nostre città, ma si parla di ex militari che ora lavorano nel privato. Uomini rudi e abituati a fare i rambo. Quale sicurezza da costoro? Spesso per difendersi dai pirati somali molte compagnie marittime stanno attuando invece, un’ottima alternativa al resistere armandosi ai nuovi filibustieri del mare. Si tratta della tattica passiva della camera blindata e dei motori spenti. Nel momento in cui i pirati abbordano il cargo il suo equipaggio lancia l’allarme e spegne i motori della nave. Dopo si va a rinchiudere in una camera blindata dove attende l’arrivo dei soccorsi. Ai pirati in quel caso non resta che prendere atto del fatto e darsela a gambe. Questo perché non hanno ostaggi da usare come scudi umani nei confronti delle unità da guerra delle varie missioni internazionali che pattugliano il mare dei pirati che intervengono in soccorso della nave assaltata. Pertanto, venendo a mancare questo scudo umano rischiano nel peggior dei casi di essere catturati. E’ di  ieri la notizia che sette pirati somali, catturati in alto mare il 20 gennaio scorso, sono comparsi davanti a una corte di Kuala Lumpur in Malaysia per rispondere di pirateria, rapina, possesso illegale di armi. A pesare sul loro capo è soprattutto però,l’accusa di aver sparato a militari della marina malese con l’intento di causarne la morte o il ferimento. La Malaysia con sue unità da guerra partecipa alla missione internazionale di pattugliamento delle acque del Corno d’Africa in veste anti pirateria marittima. I pirati somali, se riconosciuti colpevoli, rischiano la pena capitale. Questo però, solo per quattro di loro, mentre per gli altri tre, ma soltanto perchè sono minorenni, avendo appena 15 anni, ci sarà il carcere. Secondo l’Imb, l’International Maritime Bureau che ha sede proprio a Kuaka Lumpur, nel 2010 il fenomeno della pirateria ha raggiunto il suo picco assoluto in sette anni, con un totale di 445 tra abbordaggi e attacchi andati a vuoto, lo stesso numero toccato nel 2003. Oltre che in Malaysia, pirati somali sono detenuti in Corea del Sud e in Kenya. Da tempo si parla di istituire un apposito Tribunale Penale Internazionale, per intenderci come quello dell’Aja per i crimini di guerra, contro l’umanità e il genocidio. Il progetto è fortemente spinto da molti Paesi, come la Russia, ma è anche fortemente osteggiato, come dalla stessa Somalia. Comunque sia l’unica soluzione al fenomeno deve e verrà di certo dalla comunità internazione che proprio in questi giorni sta decidendo le strategie e i  metodi da usare contro la nuova filibusta nel mare del Corno D’Africa. Non resta che aspettare e vedere cosa accadrà nelle prossime settimane che sembrano saranno le decisive nelle scelte e nell’azione. E’ quindi inutile, quanto insensato spingere verso scelte individuali che si sa non porteranno alcun giovamento se non a chi sa cosa ne vuole ricavare. Non servono vigilantes a bordo navi mercantili, ma azioni mirate e risolutive direttamente sul posto.

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