Guerra in Libia. Bossi prende le distanze ma oramai il Governo è diviso su tutto

ROMA – Berlusconi telefona ad Obama e gli dice che l’Italia è disponibile ad accogliere l’invito della Nato ad una partecipazione diretta alle operazioni belliche in Libia. Bossi, che, pare, non ne sapesse nulla si infuria. Che la Lega fosse contraria ad una guerra nella ex colonia italiana era noto, così come il fatto che la “maggioranza di ferro”, quella che avrebbe governato il Paese con la coesione dei pezzi di un carro armato, secondo la propaganda elettorale del 2008, oramai è ridotta ad un collage che casca a pezzi anche.

Non c’era certo bisogno della guerra in Libia per comprenderlo. A Milano, Bossi avrebbe visto volentieri un candidato a sindaco diverso da una Letizia Moratti che non ama e la cui azione amministrativa giudica lacunosa e confusa (come moltissimi milanesi, anche quelli che la voteranno turandosi il naso). Tutta la vergognosa vicenda dei manifesti contro le “Br in Procura” ha visto il Carroccio silente, un mutismo che la dice lunga sulle opinioni bossiane in merito ai guai giudiziari del Cavaliere.

Mai come in queste ultime settimane, il Carroccio è parso lontano sideralmente dal Pdl e dalle sue ossessioni contro i giudici. L’impressione che se ne ricava è che la Lega contribuisca a tenere insieme i cocci di un’alleanza “invincibile” soltanto per preservare il federalismo. Bossi sa benissimo che, questo è il momento più delicato per non soffocare nella culla la sua creatura prediletta. Nessuna cosa al mondo lo indurrebbe ad aprire una crisi di governo. Ma certo, non può dirsi felice di come vadano le cose all’interno della maggioranza.

Già la vicenda delle acquisizioni dei “Responsabili” ha evidenziato il suo livore contro parlamentari giudicati inaffidabili, ex “democristianoni” sulla cui lealtà non nutre alcuna fiducia. Sulla contrapposizione feroce e al limite dell’eversione fra i gerarchi berlusconiani e i magistrati milanesi non ha speso una parola, né lui, né gli altri maggiorenti del partito e questo silenzio è stato più fragoroso dello scoppio di mille bombe di mortaio. Ora, proprio sulla questione Libia, i cui sviluppi sono, al momento, imprevedibili, la lacerazione potrebbe farsi irrimediabile.

I ducetti del Pdl mostrano ottimismo. Osvaldo Napoli, rispondendo al finiano Bocchino, che ha chiesto l’apertura di una crisi di governo, dice: “Come tante volte è successo in passato, con la Lega ritornerà l’armonia”. Lo stesso Berlusconi mostra sicumera: “A Bossi spiegherò che non potevamo più tirarci indietro. Ma non cambia nulla nella nostra missione, attaccheremo solo carri armati e postazioni di artiglieria”. Ma sono dichiarazioni di facciata per non perdere la faccia, soprattutto a pochi giorni da una consultazione elettorale come quella milanese, dove i sondaggi mostrano una Moratti in grande debolezza contro l’avversario della sinistra Giuliano Pisapia. Bossi ha chiaramente anticipato al premier che se il centro-destra dovesse perdere la “Capitale morale”, la coalizione si sfalderebbe e, probabilmente, sarebbe proprio Bossi ad aprire la crisi di governo. La perdita di Milano sarebbe un’ottima occasione per la Lega per addossare tutte le colpe sulle spalle di Berlusconi e della sua sconsiderata lotta all’ultimo sangue contro la Procura milanese.

La Lega non ha nemmeno gradito le anticipazioni sul prossimo leader della coalizione. Ammesso che continui l’alleanza con il Pdl, il Carroccio non consentirebbe mai l’ascesa di Angelino Alfano a Palazzo Chigi, preferendogli in prima istanza Giulio Tremonti e, in seconda, Roberto Maroni. Insomma, ammesso che il centro-destra non si sfarini prima del tempo, come ipotizza una ricerca di Roberto D’Alimonte pubblicata oggi da “Il Sole 24 ore”, il Governo è destinato ad acuire il suo immobilismo e le sue già evidentissime incapacità politiche.

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