Con il Def calano gli investimenti nell’istruzione

La Rete della Conoscenza: “Il Governo smentisce se stesso”

ROMA – Negli ultimi mesi il Governo Renzi ha più volte affermato che l’istruzione è al centro delle priorità per tornare a far crescere il Paese. I dati contenuti nel Documento di Economia e Finanza recentemente emanato dal Ministero dell’Economia dicono esattamente il contrario: la spesa italiana in Istruzione passerà dal 3,9% del PIL (2010) al 3,7% nel 2020 per poi scendere fino al 3,3% (2035). L’impatto macroeconomico della Buona Scuola è invece così quantificato: al 2020 è previsto un aumento dello 0,3% del PIL rispetto alla ‘quota base’ (quella senza gli effetti previsti in seguito all’approvazione delle riforme); al 2025 l’aumento è dello 0,6%, mentre in un imprecisato ‘lungo periodo’ le magnifiche sorti della Buona Scuola porteranno in dote al Paese un aumento del 2,4% del PIL.

“Il Governo ha smentito se stesso – dichiara Riccardo Laterza, Portavoce Nazionale della Rete della Conoscenza – e la causa di questo calo non è certo da imputare solamente, come afferma il Governo, all’invecchiamento della popolazione e quindi al calo fisiologico degli studenti. È una lettura che rimuove totalmente le politiche di definanziamento che hanno interessato scuola e università dal 2008 ad oggi e rispetto alle quali la stabilizzazione di una parte dei precari della scuola non rappresenta affatto un cambio di rotta sufficiente a portare il sistema formativo italiano in linea con gli altri Paesi dell’area OCSE, area nella quale peraltro l’Italia è l’unico Paese che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria”.

“Nel DEF il Governo” – aggiunge Alberto Campailla, Portavoce Nazionale di Link – Coordinamento Universitario – “dimentica di ricordare le pesanti responsabilità degli ultimi Governi rispetto all’aumento dei livelli di dispersione scolastica, totalmente fuori controllo in molte Regioni del Mezzogiorno, e nella diminuzione degli studenti iscritti nelle università (fotografata in 30.000 in meno in soli tre anni dallo stesso MIUR). La soluzione non è certo, come sostiene lo stesso DEF, ampliare la premialità fino al 30% del Fondo di Finanziamento Ordinario degli Atenei e estendere questo meccanismo alle altre voci del finanziamento pubblico alle Università. Nemmeno il prestito d’onore è la strada giusta, perché porta all’indebitamento di intere generazioni, condannandole a un futuro di incertezza e ricattabilità. E’ necessario un welfare studentesco universale che abbatta gli ostacoli economi al proseguimento degli studi e garantisca piena autonomia sociale e possibilità di scelta agli individui”.

“Il quadro di definanziamento dell’istruzione risulta in evidente contraddizione con le previsioni di impatto macroeconomico della Buona Scuola.” – conclude Danilo Lampis, Coordinatore Nazionale dell’Unione degli Studenti – “Questa concezione del legame tra la ‘centralità della scuola’ e la crescita economica del Paese è la stessa che ha modellato il Jobs Act: la formazione, infatti, viene concepita come funzionale allo sviluppo economico esclusivamente se piegata agli interessi a breve termine delle imprese. L’assenza di visioni strategiche per i modelli produttivi del nostro Paese si ripercuote direttamente sul piano dell’idea di scuola e di università, e gli effetti di questa prospettiva miope investono l’intera società: le previsioni del Governo, dunque, utilizzando un eufemismo, appaiono ingiustificatamente ottimistiche”.

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