Ha senso parlare di sostenibilità se i dati sulla qualità dell’aria sono insufficienti?

Un’analisi critica sulla coerenza delle strategie ambientali in assenza di una rete di monitoraggio completa e accessibile


Nel panorama odierno dominato dalla transizione ecologica, la parola “sostenibilità” è diventata un imperativo etico, politico ed economico. Tuttavia, vale la pena porsi una domanda tanto semplice quanto scomoda: ha senso parlare di sostenibilità quando i dati sulla qualità dell’aria sono frammentari, inadeguati o del tutto assenti in molti territori?

Senza dati, niente misurazione. E senza misurazione, niente sostenibilità

La sostenibilità non può essere un concetto astratto. Deve poggiare su dati concreti, misurabili, verificabili.

Quando si parla di qualità dell’aria – uno degli indicatori principali del benessere ambientale e della salute pubblica – ci si aspetta che i territori siano dotati di una rete capillare di sensori in grado di rilevare i principali inquinanti atmosferici: CO₂, PM10, PM2.5, NO₂, VOC, ozono troposferico, solo per citarne alcuni.

Eppure, nella realtà, molti comuni italiani non dispongono di alcun sistema di monitoraggio locale. Dove presenti, i dati sono spesso datati, centralizzati, poco trasparenti e non accessibili ai cittadini. Questo porta a una distorsione della percezione del rischio ambientale e rende quasi impossibile progettare azioni realmente efficaci e personalizzate per migliorare la qualità della vita.

Un problema di giustizia ambientale e disuguaglianza territoriale

La mancanza di dati ambientali non è solo una questione tecnica, ma anche una questione di equità. Le aree più periferiche, rurali o economicamente svantaggiate sono spesso escluse dai piani di monitoraggio, creando una doppia penalizzazione: maggiore esposizione potenziale a inquinanti e minore capacità di denuncia o intervento. Parlare di sostenibilità, quindi, rischia di trasformarsi in uno slogan elitario, riservato a chi ha le risorse per misurare, analizzare e agire.

Greenwashing istituzionale?

In molti casi, la retorica della sostenibilità viene utilizzata da istituzioni e imprese per legittimare strategie “verdi” che però non si basano su una reale conoscenza dello stato ambientale dei territori. Senza una base di dati verificabili, le politiche ambientali rischiano di essere inefficaci, se non addirittura fuorvianti. È il caso, ad esempio, di piani urbanistici o industriali che si definiscono “sostenibili” ma che non tengono conto dell’accumulo di inquinanti già presenti in aria.

La sostenibilità parte dalla conoscenza

Per restituire senso e credibilità al concetto di sostenibilità, è necessario un cambio di paradigma: la misurazione continua e trasparente dell’ambiente deve essere la base di ogni politica sostenibile. Questo significa investire in tecnologie di monitoraggio diffuso – anche tramite sensori smart e a basso impatto – e garantire che i dati siano aperti, accessibili e comprensibili per tutti: cittadini, imprese, istituzioni.

Non ha senso parlare seriamente di sostenibilità se non si parte dalla conoscenza reale e capillare dello stato dell’ambiente.

Parlare di sostenibilità senza dati significa fare promesse senza fondamento, pianificare nel buio e lasciare indietro intere comunità. Se vogliamo costruire un futuro sostenibile, dobbiamo prima assicurarci di sapere esattamente cosa stiamo respirando. Solo così la sostenibilità potrà essere davvero inclusiva, efficace e credibile.

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