Università e scuole pubbliche, quando studiare diventa un lusso

Colpa della crisi o di chi non vuole cittadini pensanti?

C’è un settore o un servizio pubblico che funzioni in Italia?
Sotto la potenza della ormai ben nota “crisi” vediamo investito inesorabilmente tutto ciò che deve garantire disponibilità ai cittadini, le qualità più importanti che uno Stato deve avere, primo tra tutti una buona condizione della sanità, dell’istruzione e dei trasporti. Il marcio dilaga e la rovina sembra non avere fine. Il risultato è quello che tutti conoscono: la maggior parte delle famiglie vivono in pessime condizioni economiche e, al momento, non conoscono serenità.
“Tutti quelli che hanno meditato sull’arte di governare il genere umano si sono convinti che il destino degli imperi dipende dall’istruzione dei giovani.” diceva Aristotele. Ecco, non è certo quello che fa l’Italia, puntare sui giovani, futuro della nazione. I giovani italiani che escono dalle scuole superiori si trovano davanti un muro: scegliere di continuare a studiare, che comporta spese enormi, sacrifici e un impiego successivo alla laurea quasi mai assicurato oppure scegliere di trovare subito un lavoro, che comporta invece la condizione opposta: essere disoccupati. Questo è ciò che viene offerto loro. 

“L’istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. È attraverso l’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione.” Nelson Mandela

Università. L’ultimo “Rapporto sui costi degli atenei italiani”, reso noto grazie alle ricerche di Federconsumatori, risale all’ottobre scorso e dimostra che per quanto riguarda l’anno accademico 2013-2014 le rette sono aumentate del 3%, rispetto all’anno precedente. Per il quarto anno consecutivo, Federconsumatori ha realizzato lo studio sui costi degli Atenei italiani. L’O.N.F. (Osservatorio Nazionale Federconsumatori) ha svolto un’indagine sulle imposte che gli studenti universitari sono tenuti a pagare, esaminando gli importi totali annui facendo riferimento ad alcune fasce di reddito standard ed effettuando i calcoli secondo modelli e formule indicati dagli Atenei stessi. Ne è risultato che la media del Nord supera quella del Centro mediamente del 30%, e gli atenei più economici, se così si possono definire, sono quelli del Centro e non quelli del Sud. Il primato di Università più cara è andato a Milano, dove gli studenti devono versare tasse medie minime di 748,50 euro. Segue Padova, che per chi si colloca nella fascia di reddito più bassa prevede mediamente imposte di 722,77 euro annui.
“Non dimentichiamo, infine, che il calcolo delle tasse è basato sulla dichiarazione dei redditi, quindi nell’analisi occorre considerare anche il peso dell’evasione fiscale.” aveva precisato Rosario Trefiletti, Presidente di Federconsumatori. Il fatto che le famiglie di alcuni ragazzi dichiarino redditi inferiori a quelli che realmente percepiscono porta alla crescita progressiva del numero di studenti che rientrano nelle fasce più basse: questo innesca la riduzione dei fondi da distribuire, penalizzando quindi coloro i quali hanno davvero bisogno di usufruire dell’istruzione pubblica a costi accessibili.
Non considerando il fenomeno dell’evasione fiscale e delle dichiarazioni dei redditi manipolate risulta comunque che studiare in una università che non sia privata, comporta spese fin troppo elevate: dalle rette annuali ai libri, per non parlare degli studenti fuori sede che devono mettere in conto anche vitto e alloggio. Questi studenti possono autofinanziarsi dedicandosi a un impiego part-time o ad un lavoro che non tolga loro troppo tempo allo studio? No.

La scuola oggi è incapace di sviluppare quelle competenze e quei talenti che sono oggi necessari per continuare ad appartenere a una società industriale avanzata. È talmente distaccata dalle vere esigenze del mondo del lavoro da essere diventata, in larga misura, una fabbrica di disoccupati con la laurea. Piero Angela

Scuola. I problemi però non iniziano, come sembra, quando un qualsiasi cittadino italiano termina gli studi e esce da scuola, trovandosi di fronte alla scelta sopra indicata. Il malfunzionamento e gli impedimenti che ne derivano per le famiglie, cominciano già dalla scuola primaria.
Nell’ultima ricerca della Federconsumatori risalente all’agosto 2013, in vista dell’inizio dell’anno scolastico 2013-2014, ha vergognosamente dimostrato un aumento dei prezzi del materiale scolastico del 2,4% rispetto all’anno precedente e che la spesa per ogni ragazzo  sarebbe stata mediamente di 499,50 euro per il corredo scolastico. La voce che pesa maggiormente sul budget per la scuola è quella relativa ai libri di testo e ai dizionari: è stata prevista una spesa di 521,00 €  per ogni alunno, il 2,8% in più rispetto all’anno precedente,  prendendo in considerazione scuole medie inferiori, licei ed istituti tecnici. Per alcune classi gli aumenti sono stati però più marcati, ad esempio per gli alunni della prima media e del primo liceo, per i quali sono stati previsti aumenti delle spese per l’acquisto dei libri fino al 5-6%.
Le famiglie degli alunni di molti istituti si vedono inoltre costrette a pagare altissimi “contributi volontari”, che volontari non sono, imposti per far fronte al mancato finanziamento per le attività didattiche da parte dello Stato.

“La scuola pubblica rimane oggi l’ultimo luogo della società di mercato in cui il bambino cliente debba pagare di persona, piegarsi al do ut des: sapere in cambio di studio, conoscenze in cambio di sforzi, accesso all’universalità in cambio dell’esercizio solitario della riflessione, una vaga promessa di futuro in cambio di una piena presenza in classe, ecco ciò che la scuola esige da lui.” Daniel Pennac

L’articolo 34 della Costituzione italiana recita:
“La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”
Questo è previsto per preservare il diritto allo studio. Questo in realtà, non preserva il diritto allo studio. L’istruzione inferiore non è del tutto gratuita; i meritevoli non sono sempre premiati, declassati dai privilegiati o dal fenomeno che manda avanti l’Italia, che è quello dei “raccomandati”; le famiglie bisognose non vengono tutte aiutate perchè esistono l’evasione fiscale e le dichiarazioni dei redditi falsate.

L’obiettivo principale dell’educazione nelle scuole dovrebbe essere quello di creare uomini e donne che siano capaci di fare cose nuove, non soltanto di ripetere semplicemente ciò che le altre generazioni hanno fatto.” Jean Piaget

Tutto questo è davvero colpa della crisi? L’importanza data all’istruzione in Italia è quanto mai minima e porta al risultato sbagliato. Sembra essere solo uno strumento che permette di creare persone indifferenti, mentre il Paese crolla nel baratro. Sembra che voglia “fare di ogni studente un docile cittadino delle moderne democrazie di massa.”, come spiega Denis de Rougemont nel suo libro “I misfatti dell’istruzione pubblica”. L’esistenza di uno Stato è da collegarsi strettamente all’assicurazione del benessere dei cittadini, ma perchè viene permesso che questo benessere non venga, di fatto, assicurato? La scuola italiana partorisce persone che vedono calpestati i propri diritti fondamentali ma che non fanno niente per impedirlo, persone dalle coscienze assopite, persone manipolate attraverso i potentissimi mezzi di comunicazione di massa, persone alle quali non è stato insegnato ad essere curiosi, ad avere sete di conoscenza, a coltivare le proprie ambizioni e le proprie passioni e ad analizzare le situazioni e i problemi, ma solo a sfuggirne, facendo finta che questi non esistano. A forza di scansare questi problemi però, va a finire che si smette di pensare e ci si accontenta della vita che ci viene offerta, della vita misera che ci costringono a vivere. 

 

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