ROMA – L’inquinamento del suolo è uno dei più gravi problemi del nostro pianeta. Spesso nella percezione comune un ambiente contaminato viene immediatamente associato al problema dell’inquinamento atmosferico e delle acque, sottovalutando invece l’inquinamento del suolo.
Tuttavia un suolo inquinato equivale ad un terreno che non è compatibile con la vita, quindi pericoloso per le coltivazioni agricole, ed anche per le falde acquifere nei casi in cui la contaminazione coinvolga il sottosuolo, rendendolo di fatto impossibile da coltivare. Le sostanze chimiche possono essere assorbite dalla vegetazione e danneggiare gli animali e gli esseri umani che si nutrono di queste. L’inquinamento del suolo deriva prevalentemente dall’incremento dello sviluppo industriale che mediante lo sversamento di sostanze tossiche nel terreno causa un’alterazione dell’ambiente e più in generale uno stravolgimento dell’equilibro chimico-fisico e biologico dell’ecosistema.
Per recuperare un suolo contaminato è necessario intervenire con le opportune bonifiche. Queste possono essere condotte mediante l’utilizzo di microrganismi in grado di nutrirsi degli agenti chimici inquinanti, in modo da distruggerli o trasformarli in forme meno dannose (Biorisanamento).
Una delle metodologie di bonifica ambientale che si è maggiormente affermata negli ultimi anni è la Phytoremediation o Fitorimediazione – nota anche come fitorisanamento (dal greco phiton, pianta)- una tecnologia che utilizza le piante per la bonifica di varie matrici ambientali contaminate, suolo, sedimenti, acque e si basa sulla capacità della vegetazione di degradare, rimuovere o contenere gli inquinanti, in molti casi in associazione all’azione degradativa dei microorganismi presenti nella rizosfera (ITRC – USA, 2009).
Tale tipologia di intervento si serve di piante superiori per il trattamento applicato in situ, pertanto non richiede alcuna forma di escavazione, trasporto e smaltimento del terreno, ed ha la prerogativa di difendere, ripristinare o addirittura migliorare le proprietà fisico-chimiche di suoli, sedimenti e acque contaminati.
La Phytoremediation può essere applicata sia in presenza di contaminanti organici, mediante processi di degradazione o estrazione, sia in presenza di contaminanti inorganici, quali i metalli pesanti e radionuclidi, attraverso processi di estrazione o stabilizzazione. Oltre a numerosi vantaggi in termini ecologici, fra cui la possibilità di riciclare i metalli presenti nei residui vegetali, presenta importanti benefici economici, come i costi inferiori rispetto a quelli richiesti per i trattamenti convenzionali e i bassi consumi energetici.
Nell’ambito della Phytoremediation si sono sviluppate nel tempo diverse tecniche che si differenziano principalmente in base al tipo di inquinante da trattare e all’obiettivo da raggiungere con la bonifica, accomunate sotto il concetto diFitotecnologie. Le Fitotecnologie si caratterizzano per il loro meccanismo di azione:
– la Fitoestrazione sfrutta la capacità di alcune piante di assorbire attraverso le radici i contaminati inorganici del suolo o delle acque, come i metalli, e accumularli in concentrazione elevata nel fusto o nelle foglie in modo da ripulire il terreno o le acque inquinate;
– la Fitostabilizzazione si basa sulla capacità della pianta di stabilizzare i contaminanti in situ con lo sviluppo delle radici, riducendone la mobilità. Viene applicata soprattutto per contenere e isolare in situ metalli e radionuclidi.
– la Fitodegradazione agisce secondo un meccanismo di biodegradazione dei contaminanti organici, che possono essere assorbiti dalle piante e direttamente degradati, oppure possono essere soggetti alla degradazione microbica nel suolo che è favorita dagli effetti stimolanti derivanti dalla presenza delle piante.
Nell’ambito dell’inquinamento delle acque, le radici svolgono un ruolo chiave nella tecnica di rimediazione nella rizofiltrazione tramite processi di adsorbimento e assorbimento dei contaminanti presenti.
Nonostante i numeri benefici, soprattutto in termini ambientali, come ogni tecnologia anche la Phytoremediation presenta degli svantaggi, quali:
•Necessità di tempi lunghi
•Condizioni ambientali difficili per l’esistenza nel terreno di elevate quantità di sostanze contaminanti o la scarsa presenza di microrganismi degradatori.
Inoltre la bonifica deve essere sempre preceduta da una valutazione preventiva delle proprietà dei terreni su cui si intende intervenire, poiché ogni pianta utilizzata nel processo del fitorimedio viene scelta per le sue caratteristiche naturali di metabolizzazione degli elementi inquinanti e per il modo in cui si adatta alle caratteristiche del suolo.
Se negli Stati Uniti già da diversi anni la Phytoremediation è usata come soluzione alla contaminazione dei suoli, in Italia, fra le prime sperimentazioni di bonifiche che hanno come protagoniste le piante vi è la pulizia di un sito a Porto Marghera eseguito da Lande Spa. Il progetto, eseguito dalla società specializzata in ripristini e mitigazioni ambientali, verde storico e urbano, archeologia e restauro architettonico, lavori e servizi ambientali ed eco sistemici – ha avuto come obiettivo la bonifica dei terreni insaturi mediante un intervento di Phytoremediation presso il Centro Venezia Tecnologia.