ROMA – Forse sono io che sono sbagliata. Può essere, tutto può essere. ma questa ferita nello stomaco che si apre ogni volta che sento e vedo l’ignoranza del mondo con la sua indifferenza, la porto come delle stigmate che mi ricordano che io sono diversa.
Diversamente pensante.E portare avanti la bandiera della diversità , in questo mondo appiattito nei colori, nelle forme e nelle parole, è difficile.Impresa impossibile per chi come me fa di ogni colore un pensiero, nelle forme trova il suo pensiero con le parole trama il disegno della sua vita.Io sono abituata a piantare bandiere di cultura in paesi anonimi ma dal cuore aperto, che quando semini,sai che nascerà qualcosa, qualcosa che rimarrà indelebile e immutabile.Io sono abituata con i giovani, con i ragazzi disagiati, con quelle anime che sanno cos’è il dolore e il buio, che quando ti guardano con la loro maschera già piena di rughe , la tolgono per far riaffiorire quel sorriso infantile e maturo che ti insegna a vivere.
Quando li lascio, mi ritrovo a spartire il mio sentire con persone vicine ma che non conoscono la profondità della via , i buchi neri dove qualche volta scivoliamo. Non si accorgono che ci sono scivolati da un pezzo, trascinate dalle lunghe pareti infangate e, senza che loro se ne accorgessero, li ha chiusi nelle loro cucce addobbate con fiori falsi.E ti chiedi se sei tu che vedi aldilà ascoltando il loro vociare amplificato, o stai percorrendo una strada troppo pericolosa, dove la tua voce non viene sentita..Vivere per non morire all’ombra del conformismo e dell’appiattimento morale.Vivere in nome delle contraddizioni per poter sempre crescere e dissentire per non essere usato come una tapezzeria che ricopre poltrone vecchie.Queste persone sono abituate ed usano le parole come massi , massi da appendere al collo per non vederti. Perchè non sei come loro che sbandierano un giornale in mano ma, i tuoi giorni sono pezzi di giornali sgualciti nei loro cappotti nuovi. Esistono i senza dimora, i senza nessuno, ma anche quelli che si arroccano nella loro dimora chiusa, nelle loro verità costruite da falsi ideologismi abitate da comportamenti che rispecchiano la loro nullità e inutilità.I loro massi che rotolando insieme a loro producono quel suono stridente e assordante, che come una valanga placa e riporta al silenzio .Silenzio che non aiuta, silenzio che non ascolta, silenzio che giudica.
Ma c’è una cosa a cui non possono sfuggire questi abitanti senza forma : la loro volgarità.I loro sguardi freddi e giudicanti, il loro non guardarti come persona ma come colpevole di essere nonostante i loro mille agguati,ancora nella loro vita. Ti avrebbero fatto fuori volentieri, lo hanno fatto ma tu hai resistito ai loro attacchi inesorabili, perentori, impietosi. Pieni di carità clericale ma privi di umanità bisognosa, protervi al vedere la fine e non l’inizio,pronti a confessarsi ma non a perdonarti. Quando ti tendevano la mano erano contenti, sapendo che un giorno l’avrebbero usata per scagliarti le pietre con cui sommergere la tua riserruzione .Non hanno aspettato tre giorni per cantare gloria ma ad accompagnare il loro passarti accanto, sentivi il loro requiem fatto scrivere apposta per trovarsi pronti nei primi banchi a poggiare una margherita di Dicembre al tuo passaggio.E tu, invece, sei ancora lì più forte di prima , forte delle loro preghiere sussurrate in un rosario di spine,testimone delle loro vacue verità e della loro vergognosa messinscena.Il loro presepe non accoglie, non abbraccia la persona venuta da lontano,quella che guardi ma non vedi.
Al loro presepe manca la voglia di resistere alle intemperie, alle cadute e ai forti venti che ti avvolgono e ti trascinano via quando sei debole e dove non trovi nessuno a cui appoggiarti.Il loro presepe montabile da esibire con il vestito nuovo e la puzza di naftalina che aleggia nei loro inni amari e lontani dai visi nuovi, non vede dove spuntano le lacrime che con il passar delle onde hanno lasciato una dolce increspatura attorno agli occhi.Le loro luci sono tutte spente, per non consumare i giorni con la follia della salita e la roboante discesa,la discesa delle persone che indossano il loro cuore sicuri che arriveranno dove i loro occhi volgono all’alba.Non bisogna essere barboni fuori per esserlo. Io conosco barboni che hanno case addobbate a festa e macchine lucidate con l’invidia, tavole imbandite con ostie sconsacrate e pane duro per sfamare persone senza denti, bocche rimpinzate di parole di fede deposte sull’altare dell’ipocrisia. Non saranno i loro massi ad evitare di poterci sdraiare a guardare qualcosa sopra di noi, a guardare quella mappa con cui sei nato e che stringi forte nelle tue mani piene di dolore.Quelle che raccontano con quanta forza e con quale energia rimani appeso alla tua cresta inviolabile. Dove ti fanno compagnia i falchi viaggiatori,le aquile con le ali così grandi che abbracciano il cielo. Quel cielo che loro non vedranno mai, perchè non hanno gli occhi per poterlo guardare.