Africa. Referendum Sudan: il sud a un passo dall’indipendenza

ROMA – Il sud Sudan è a un passo dal diventare un nuovo stato africano.

Un nuovo stato che potrebbe nascere dal referendum che si è tenuto per la secessione del sud, a maggioranza cristiana o animista, dal nord musulmano e, che si potrebbe chiamare Nuovo Sudan o Repubblica del Nilo o Sud Sudan. Quest’ultimo è quello più gettonato anche se quello di Nuovo Sudan era nei progetti-sogni del leader storico della ribellione sudista sudanese, John Garang. Le operazioni di voto sono cominciate il 9 gennaio scorso e si sono concluse ieri 15 gennaio quando alle 18 ora locale si sono chiusi i seggi.

 

La chiusura ha riguardato anche i seggi allestiti nel nord per i rifugiati dal Sud, come quelli all’estero. Il processo elettorale è stato organizzato e gestito dalla Commissione per il Referendum sull’Indipendenza del Sudan Meridionale, Ssrc. Sarà questo organismo a rendere noti, ad inizio mese di febbraio, i risultati non definitivi, mentre quelli definitivi dopo il 14 febbraio prossimo. Nel frattempo si dovranno esaurire prima tutti i vari gradi degli eventuali ricorsi. Secondo i primi risultati non ufficiali del referendum la maggioranza dei sudanesi del sud avrebbero votato a favore dell’indipendenza. Un dato che confermerebbe i pronostici della vigilia che sono tutti per una vittoria del SI. Il voto però, per  essere valido, doveva far registrare un’affluenza alle urne pari al 60 per cento dei 3,7 milioni di aventi diritto al voto che si sono registrati al sud e i 117mila al nord. Un dato quest’ultimo molto inferiore ai 2 milioni di residenti sud sudanesi, ma spiegabile dal fatto che decine di migliaia di sudanesi del sud si sono messi in cammino per tornare dal nord al sud e poter partecipare alla consultazione referendaria.  Alla fine delle operazioni di voto l’affluenza registrata alle urne è stata tale da superare ogni previsione.

 

Nei soli primi tre giorni di voto il quorum del 60 per cento è stato ampiamente superato. Alla fine è stato raggiunto quasi il 100 per cento fermandosi al 90 per cento. Il referendum tenutosi in questi giorni fa parte dell’accordo di pace siglato a Naivasha in Kenya il 9 gennaio del 2005, il ‘Comprehensive Peace Agreement’, CPA, tra Khartoum e il gruppo ribelle del  sud, Sudan People’s Liberation Army, SPLA, di John Garang per mettere fine ad una ventennale guerra civile tra il nord e il sud. Il presidente sudanese Omar el Bashir ha annunciato che rispetterà l’esito del voto, ma ha avvertito che l’indipendenza del sud potrà causare instabilità nel più grande Paese africano. Il Paese africano non ha mai vissuto una vera pace dopo che nel 1956 conquistò l’indipendenza dagli inglesi. Da allora è stato sconvolto da due cruenti e sanguinose guerre civili combattute tra Nord e Sud che hanno provocato oltre 2 milioni di morti e migliaia di profughi. Questo referendum è stato però, macchiato dal sangue e turbato dalle violenza a causa degli scontri nel distretto petrolifero di Abyei, area contesa, per le sue risorse petrolifere, tra Nord e Sud. L’area è popolata da due tribù di diversa etnia.

 

I Dinkas Ngok, etnia africana legata ai Dinkas del Sud Sudan, per lo più contadini, e dai Misseriyas, normadi arabi originari del nord e vicini a Khartoum che li sostiene. Sono quest’ultimi che fomentano disordini in quanto temono, in caso di vittoria del SI, di perdere il controllo del territorio. In questa regione, sempre in base agli accordi di pace del 2005, si dovrebbe svolgere un voto separato per decidere se annetterla al nord o al sud. Un voto che inizialmente doveva svolgersi in concomitanza con quello della autodeterminazione del sud, ma che un mancato accordo tra le parti ha fatto rinviare a data da stabilire. Un rinvio che mantiene alto il livello di incertezza sulla stabilità dell’intero Sudan. Questo in quanto la regione è stata sempre considerata strategica sia per il nord sia per il sud. Un fatto questo, dovuto in quanto la regione è ricca di pascoli e di giacimenti di greggio. Una vera e propria polveriera del Paese africano a cui se venisse dato fuoco alle micce scatenerebbe una nuova e sanguinosa guerra civile. Il sud difficilmente vi rinuncerà visto che da essa dipenderà la sua sopravvivenza economica. Lo stesso vale per il nord che ne ha finora sfruttato al 90 per cento il suolo e il sottosuolo.

 

Solo una difficile, ma non impossibile mediazione potrà condurre ad un compromesso. Gli scontri, che già si erano verificati nelle settimane di vigilia del voto, sono scoppiati anche nel primo giorno del referendum. Sono almeno un centinaio le persone uccise nel corso di questi scontri, 40 solo negli ultimi giorni. Il ministero degli Interni del sud ha accusato il governo di Khartoum, da sempre sostenitore dei Misseriyas, di esserne, anche se indirettamente il responsabile. Come sempre accade in questi casi le autorità del nord hanno negato un loro coinvolgimento. Nonostante tutto il referendum per l’indipendenza della parte meridionale del Sudan dal nord si è svolto in modo libero, equo e credibile. Gli stessi osservatori internazionali lo hanno definito un grande successo.

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