Cina. Proteste ad Hong Kong all’arrivo di Hu Jintao

PECHINO (corrispondente) – Quest’anno a guastare i festeggiamenti per l’ anniversario del passaggio di Hong Kong alla madrepatria non e’ stata soltanto la tempesta tropicale Doksuri.

Ad accogliere il presidente cinese Hu Jintao, giunto venerdi’ nell’ex colonia britannica per celebrare il 15esimo dell’handover e l’entrata in carica del nuovo “chief executive” Leung Chun-Ying, una valanga umana di oltre 50mila manifestanti si e’ riversata da Victoria Park sino al quartier generale del governo locale ad Admiralty.

Tra i 5mila e gli 8mila poliziotti sono stati sguinzagliati per le strade dell’ex protettorato britannico per far fronte ad eventuali proteste. Nella giornata di sabato le forze dell’ordine hanno tenuto a bada la folla utilizzando spry al peperoncino. Tra le richieste dei manifestanti maggior chiarezza sulla morte di Li Wangyang, uno dei leader del movimento dell’89 trovato morto nella sua stanza d’ospedale alcuni giorni fa. La versione del suicidio sponsorizzata dalle autorità continua a non convincere, tanto che il caso del dissidente ha riportato sotto i riflettori la questione dei diritti umani. Una storia dal peso specifico considerevole che ha finito per gettare ombre persino sul South China Morning Post, uno dei baluardi del giornalismo d’inchiesta, in quest’occasione accusato di aver trattato la notizia con scarsa trasparenza. Uno scivolone che ha dato nuovo vigore alle voci che lamentano negli ultimi anni una diminuzione della libertà di parola e di stampa sull’isola.

Sabato un giornalista dell’Apple Daily, dopo aver chiesto al presidente cinese di rispondere ad alcune domande sul massacro di Tiananmen, e’ stato portato via e tenuto in custodia dalla polizia, mentre alcuni tafferugli tra le forze dell’ordine e i rimostranti hanno fatto seguito all’imbarazzante interruzione del discorso inaugurale di Hu Jintao da parte di uno dei 2.300 presenti.

Il 1 luglio viene considerata una data particolarmente sensibile da quando nel 2003 circa 500.000 manifestanti alzarono la voce contro una legge anti-sovversione, ottenendone il ritiro. Ogni anno migliaia di cittadini approfittano dell’importante commemorazione per chiedere più democrazia e maggior autonomia negli affari locali, appellandosi a quanto stabilito dal motto “un Paese due sistemi” coniato da Deng Xiaoping nel 1997 al momento del ritorno del “Porto Profumato” alla madrepatria.

Le intenzioni del “Piccolo Timoniere” erano buone: assicurare alla Regione amministrativa speciale liberta’ di stampa, elezioni multipartitiche, un proprio mercato azionario e autonomia dei tribunali e degli apparati di sicurezza, mentre la mainland, da parte sua, avrebbe continuato ad avere voce in capitolo nelle relazioni diplomatiche e nel settore della difesa nazionale. Ma di fatto, dopo quindici anni, Hong Kong continua a rimanere legata al cordone ombelicale di Pechino e sono in molti a lamentare un’eccessiva ingerenza della madrepatria nella politica locale.

Se sino ad oggi gli equilibri tra “i due sistemi” si sono retti sulla formula vincete industria e manodopera cinese+capitali hongkonghesi, il prezzo del benessere economico dell’ex colonia britannica rimane altissimo e ricasca in massima parte sulle spalle dei nativi dell’isola, mentre i continentali arricchiti continuano a godere dei massimi privilegi.

La forbice tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli record, battendo quella di qualsiasi altro Paese asiatico. Un’impennata dei prezzi degli immobili -causata per lo piu’ dalla corsa agli investimenti dei cinesi nel fertile mercato di Hong Kong- ha reso proibitivo l’acquisto di un appartamento per la maggior parte dei cittadini dell’ex colonia.

E se una ricerca pubblicata proprio domenica dalla CNN metteva il “Porto Profumato” in cima alla lista dei posti in cui si vive meglio, per gli hongkonghesi sgomitare per farsi largo tra le “locuste cinesi” diventa sempre piu’ difficile. Lo testimonia la crescente insofferenza verso l’arrivo in massa dalla mainland delle partorienti che, come cavallette, travolgono gli ospedali dell’isola per usufruire di strutture sanitarie migliori e assicurare ai propri figli la cittadinanza hongkonghese.

I numeri parlano chiaro: l’astio degli hongkonghesi ha raggiunto il picco più alto dal 1997. Un sondaggio eseguito dall’Universita’ di Hong Kong dimostra che il 37% dei cittadini della Regione amministrativa speciale si dice sfiduciato nei confronti del governo cinese, mentre solo il 32% avrebbe mostrato apprezzamento verso l’attuale leadership. E non solo. Secondo  ricerche indipendenti, il 46% della popolazione si identifica esclusivamente come cittadino di Hong Kong, contro un esiguo 18% fiero della propria “cinesità”.

Ma se l’anno passato ad alimentare le proteste erano stati principalmente i prezzi del mattone alle stelle e l’iniqua distribuzione delle ricchezze, il 1 luglio 2012 verra’ ricordato soprattutto per il movimento anti-Leung Chun-Ying, il nuovo capo dell’esecutivo uscito vittorioso dalle elezioni dello scorso marzo ed entrato ufficialmente in carica domenica scorsa.
 
Scelto da una ristretta elitè composta da 1200 magnati e uomini d’affari vicini a Pechino, il 57enne meglio noto come CY Leung, oltre ad essere un milionario con le mani in pasta nel real estate, e’ anche l’uomo che piace ai piani alti del Partito comunista cinese. “Un lupo travestito da pecora”- come e’ stato definito dagli attivisti pro democrazia- la cui credibilita’ e’ stata ulteriormente messa in dubbio a causa di alcuni lavori illegali nell’ampliamento della propria abitazione in uno dei quartieri piu’ prestigiosi di Hong Kong.

E come se non bastasse, domenica il nuovo “amministratore delegato” si è dato la così detta zappa sui piedi. Lasciando l’uditorio basito, per il giuramento d’ufficio pronunciato alla presenza di Hu Jintao, Mr. Leung ha preferito utilizzare il mandarino snobbando il cantonese, lingua ufficiale dell’ex protettorato britannico, parlata dall’89% della popolazione locale e tradizionalmente adoperato da tutti i suoi predecessori. Un “kotow” per il presidente cinese, come e’ stato definito dall’International Herald Tribune.            .

L’ira degli hongkonghesi non si e’ fatta attendere. “Non e’ soltanto Leung a dover lasciare il proprio incarico” -ha gridato a un megafono uno dei manifestanti- “tutti i suoi successori dovranno dimettersi. Non abbiamo bisogno di burattini eletti dalla Cina.”
Rain Lee, 10 anni, ha accompagnato la madre per prendere parte alle proteste, sfidando il caldo perche’, ha detto, ” vuole avere il diritto di votare il chief executive quando sara’ in eta’ da poterlo farlo.”

E c’e’ stato anche chi, sventolando la bandiere della Hong Kong coloniale, e’ arrivato a rimpiangere i tempi della dominazione inglese. “Ho grande nostalgia del passato” -ha dichiarato Lydia Ma, 33 anni- “certo, al tempo c’era una collusione tra il governo e le grandi imprese, ma almeno l’amministrazione britannica ha fatto molto per il popolo. Ora invece di compiere passi avanti, Hong Kong sta regredendo in tutto, dall’economia ai mezzi di sussitenza dei cittadini, alla politica.”

E sebbene le stime delle forze dell’ordine parlino di 55 mila persone alla partenza del corteo, secondo gli organizzatori lo scorso weekend a manifestare in totale sarebbero stati almeno in 400 mila.

 

 

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