BUENOS AIRES – L’avevano cercato dappertutto Lucas Menghini Rey, venti anni. Ospedali, comandi di polizia, in tutti gli angoli della città, ma senza successo.
I genitori, la sorella non si davano pace. Ieri il corpo di Lucas è stato ritrovato tra le lamiere del terzo e del quarto vagone, 58 ore dopo il tragico incidente avvenuto nella stazione di Once a Buenos Aires. Quando la notizia si è diffusa è esplosa la rabbia e l’indignazione di amici, familiari e passanti che si sono radunati nella stazione urlando “assassini, assassini!” La manifestazione spontanea si è protratta nella notte provocando gravi incidenti. Solo l’intervento della polizia con gas lacrimogeni ha placato l’ira della gente.
Le autorità avevano assicurato che tutti i corpi delle vittime erano stati recuperati e avevano consigliato ai parenti di cercare i loro cari altrove. Invece Lucas era ancora lì, dove era stato visto l’ultima volta, a bordo di quel treno. E’ stato il padre che, dopo aver verificato come fosse vestito il figlio, attraverso la registrazione delle camere di sorveglianza della stazione di San Antonio da Padua dove il giovane era salito sul treno, si è messo alla ricerca dello zaino che il ragazzo portava in spalla. E’ stato così che Lucas è stato ritrovato, ha raccontato un testimone. Non sono stati né e vigili del fuoco, né la protezione civile a ritrovarlo.
La rabbia si è poi propagata attraverso le reti sociali e già si stanno organizzando manifestazioni contro il governo e in particolare contro il ministro dei trasporti Juan Pablo Schiavi, oggetto di dure critiche.
Mercoledì mattina il treno carico di pendolari era entrato nella stazione di Once a venti chilometri orari e, per ragioni ancora da accertare, non ha frenato. Oltre ai 51 morti, l’incidente ha provocato 700 feriti sparsi per gli ospedali di Buenos Aires, di cui 200 gravi. Si tratta del terzo incidente mortale in un anno e ha messo in evidenza l’insicurezza del sistema ferroviario argentino, utilizzato da dieci milioni di pendolari al mese che si spostano dalla periferia alla capitale.
All’inizio del secolo scorso la rete ferroviaria rappresentava un vanto per l’Argentina in quanto la più moderna dell’America Latina. Poi, in seguito a decenni di deterioramento, durante il governo neoliberista di Carlos Menem (1989-1999) le ferrovie vennero privatizzate passando sotto il controllo della TBA (Trenes Buenos Aires). Le numerose promesse di rendere il trasporto su rotaia efficiente e sicuro sono rimaste, nel corso degli anni, lettera morta.
Il treno che viaggia veloce su binari precari rappresenta un po’ la metafora di questo paese. Una velocità apparente però. Se da una parte il presidente Cristina Kirchner sogna il treno superveloce, il “tren bala” dai costi stratosferici (il progetto è stato presentato nel 2008), dall’altra si scopre che nell’aeroporto di Buenos Aires Ezeza, lo scalo più importante del Paese, i piloti effettuano l’atterraggio con controllo manuale per mancanza di radar. Questi strumenti sembra siano stati commissionati ad aziende argentine, regolarmente pagati ma non sono mai arrivati.
Ciò che veramente “viaggia come un treno” in Argentina, un treno senza freni sarebbe il caso di dire, è l’inflazione. I dati non ufficiali parlano di un aumento dei prezzi superiore al 20%; dato smentito dal governo, secondo il quale il deprezzamento del potere d’acquisto della moneta si aggira tra il 5 e l’11%. Ma nessuno crede più ai dati ufficiali, tanto che l’Economist questa settimana ha intitolato il suo articolo sull’inflazione in Argentina “don’t lie to me Argentina” (non mi mentire Argentina), ispirandosi alla canzone che Evita canta dal balcone della Casa Rosada nel musical di Andrew Lloyd Webber.
Il settimanale economico inglese definisce le menzogne sull’inflazione in Argentina “un abuso di potere da parte di un governo democratico” e promette che non pubblicherà più i dati ufficiali dell’Istituto Nazionale di Statistiche e Censimento (INDEC) da tempo screditato da più parti.