Sotto casa di Kerry per protestare sul sempre più probabile conflitto in Siria

BOSTON .- Gli hanno urlato sotto casa “The Wheel has come full circle” un celebre passaggio di Shakespeare, che altro non vuol dire che la ruota gira per tornare al posto da cui è partita.

E’ quanto urlato da un gruppo di circa un centinaio di anti-interventisti americani, che si sono recati nella casa del segretario di Stato John Kerry, a Baconhill, a Boston, per manifestare la propria contrarietà alla sanguinosa guerra siriana. Alcuni di loro si sono addirittura spinti ad affiggere un cartello scritto a mano con scritto “Stay out of Siria”, stai lontano dalla Siria, sopra ad una piantino che adorna l’ingresso della casa dell’ex candidato al presidenziali per il partito democratico nel del 2004.

Il senatore del Massachusetts è oggetto delle critiche più aspre perché incarna più di ogni altro la frangia interventista all’interno dei democrats americani. E’ lui che in questi giorni ha serrato le fila più di ogni altro in vista di un intervento armato in Siria, dichiarando anche i numeri delle atrocità dei numeri del regime di Bashar al Assad, e della necessità di punire l’uso di armi chimiche in Siria. Suo è inoltre l’arduo compito di convincere i suoi colleghi al Senato che formano la commissione affari esteri, della necessità di intraprendere la missione siriana in vista della votazione che Obama ha annunciato lo scorso sabato dal giardino delle rose della White House. Il segretario di stato potrà contare sul supporto del suo collega Chuck Hagel, il segretario della difesa che fa capo al Pentagono. A completare il trio c’è Martin Dempsey, il capo dello stato maggiore congiunto. Anche lui col compito di testare e condizionare a favore dell’intervento statunitense nel dramma siriano il voto del (probabile) 9 settembre, sempre più incerto e irto di ostacoli. Almeno dal punto di vista delle forze amiche democratiche.

Non sorprende, almeno gli esperti, il probabile supporto a Obama proveniente dal fuoco nemico dei Repubblicani. E’ di ieri infatti l’annuncio di approvazione dell’ex sfidante di Obama alle scorse elezioni presidenziali John McCain e di Lindsey Graham. Quest’ultima si è detta fiduciosa della strategia che la Casa Bianca sta adottando per l’attacco. Secondo la stampa americana il loro voto potrebbe risultare vitale in caso di problemi al senato durante le votazioni. 

Un attacco, che quindi, nonostante il no deciso di alcuni soldati, che hanno manifestato il loro dissenso sui social network, della manifestazioni degli occupy e dei sit-in sotto la dimore bostoniana di Obama, è stato solo rimandato e non cancellato. Almeno secondo quanto trapela dalle alte cariche americane e dalla possibile convergenza repubblicana a favore del conflitto.

Nel giorno in cui l’alleato Israele ha fatto le prove di attacco, lanciando alcuni missili dalle navi al centro del mediterraneo verso le coste orientali del mediterraneo in direzione Siria, le parole del presidente americano Barack Obama risuonano come un antipasto di quanto avverrà.

“Non è l’Iraq, non è l’Afghistan. Stiamo parlando di un raid limitato, proporzionato, che è un messaggio non solo ad Assad, ma anche ad altri che potrebbero pensare di usare armi chimiche anche in futuro”. Un segno forte di intenti almeno formale, che il presidente spera che anticipi il si definitivo di Capitol Hill già “all’inizio della settimana prossima”.

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