Elezioni Germania. Chiunque vinca, non convincerà

ROMA – L’unica certezza nelle elezioni tedesche in corso in queste ore è che da esse non uscirà alcun vincitore. Non vincerà la Merkel che, a dispetto dei sondaggi che danno la sua CDU intorno al quaranta per cento, sarà probabilmente costretta a replicare l’esperienza di un governo di grande coalizione insieme ai socialdemocratici dell’SPD.

Non vinceranno i liberali dell’FDP che, nonostante il solido accordo di coalizione con la Merkel, rischiano addirittura di non superare la soglia di sbarramento del cinque per cento e, dunque, di non riuscire a tornare in Parlamento.

Meno che mai vincerà l’SPD del mediocre Peer Steinbrück, un candidato talmente incolore da aver trasformato la terza affermazione della Cancelliera in uno dei pochi punti fermi di questa contesa elettorale.

E non vinceranno nemmeno la Linke, i Verdi e il movimento di rottura e protesta dei Piraten, travolti dalla logica del “voto utile” dovuta all’idea, molto diffusa nell’elettorato, che il ritorno della Grosse Koalition sia praticamente ineluttabile.

Potrebbero vincere, unici in un contesto istituzionale di macerie, gli euroscettici di Alternative für Deutschland, ossia quel partito di cattedratici e giornalisti economici di area liberal-conservatrice che cinque mesi fa hanno deciso di porsi in aperto contrasto con le politiche del duo Merkel-Schäuble in merito agli aiuti ai fragili paesi del Sud-Europa (a loro avviso troppo generosi, benché a noi sembrino invece drammaticamente esigui) e di candidarsi alle elezioni.

Se questa formazione, il cui obiettivo dichiarato è lo smantellamento dell’euro e il ritorno alle valute nazionali, specie per quanto riguarda i cosiddetti PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), dovesse entrare in Parlamento, ad uscire sconfitti dalla competizione saremmo tutti noi, in quanto sarebbe a rischio la tenuta stessa dell’Unione Europea.

Per comprendere quanto sia pericoloso un eventuale ingresso al Bundestag di questo partito, basti pensare che, secondo loro, anche l’Italia dovrebbe uscire dall’euro e tornare alla lira, puntando sul vecchio metodo della svalutazione per rilanciare crescita e sviluppo.

Ed è inutile ipotizzare vie d’uscita alternative perché i possibili esiti della vicenda sono tre: o il già menzionato governo di grande coalizione tra la CDU e l’SPD (magari con l’attribuzione al presidente dell’SPD, Sigmar Gabriel, del ruolo di vice-cancelliere) o un governo marcatamente di destra come l’attuale, nel caso in cui la somma dei voti di CDU e FDP lo consentisse, o il caos assoluto, con l’ingresso di Alternative für Deutschland in Parlamento, l’esclusione dei liberali e il rifiuto dell’SPD di accordarsi con la Merkel per una riedizione del governo di Grosse Koalition.

Ora, posto che quest’ipotesi è la meno probabile, in quanto il contesto politico tedesco è assai diverso dal nostro e un’alleanza di governo, sia pur sofferta, tra avversari non viene vissuta con lo stesso fastidio con cui la si vive da noi, è comunque certo che dovremo aspettare almeno quattro anni prima di vedere nuovamente la sinistra al governo con una coalizione rosso-verde.

Fino a quel momento, per quanto la Merkel, in caso di Grosse Koalition, sarebbe per forza di cose costretta ad attuare un programma più equo sul piano delle riforme economiche, del lavoro e della solidarietà sociale, poco o nulla cambierebbe invece dal punto di vista delle politiche europee, specie se si considera che i rapporti della Germania con i principali partner continentali (Italia e Francia) sono da qualche anno tutt’altro che idilliaci.

Chiunque vinca, in conclusione, è destinato a non convincere e ad affrontare ostacoli d’ogni sorta, primo fra tutti il rischio che l’appuntamento con l’ascesa delle formazioni populiste più nocive sia solo rimandato di qualche mese: alle Europee del 2014, dove davvero si decide il futuro dell’euro e del Vecchio Continente come lo abbiamo conosciuto negli ultimi sei decenni.

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