Venezuela. Scontri tra studenti e polizia. Sei morti in dieci giorni

CARACAS – Continuano gli scontri in diverse zone del Venezuela tra manifestanti e forze dell’ordine, con il rischio che la situazione possa ancora degenerare. Si tratta infatti della più grave rivolta da quando Nicolas Maduro è stato eletto presidente nell’aprile scorso, succedendo a Hugo Chavez.

Ad oggi, ovvero dall’inizio delle proteste, si contano sei morti, la sesta vittima è un sostenitore del presidente socialista Maduro. 

Maduro ha detto che “proiettili fascisti” hanno ucciso Alexis Martinez, fratello di un deputato socialista, a Barquisimeto. Alle vittime si aggiungono decine di feriti e numerosi arresti da quando le violenze sono iniziate. 

L’inizio e i motivi delle proteste

I manifestanti, che denunciano violenze e tortureda parte della polizia, sono essenzialmente studenti che chiedono le dimissioni del presidente Maduro, ritenuto il principale responsabile  dell’alto tasso di criminalità, dell’inflazione ormai alle stelle, ha infatti superato il 56 per cento, della carenza di beni fondamentali e di prodotti base come il latte e la carta igienica, nonché della presunta repressione degli oppositori. Senza contare il problema della libertà di stampa, sempre più in pericolo.  Dal canto suo Maduro accusa invece i manifestanti di essere manovrati dagli Stati Uniti. 

Le proteste in Venezuela sono cominciate nello stato di Táchira, il 2 febbraio, ma si sono velocemente estese al resto del paese. Il 12 febbraio tre persone – due manifestanti e un membro di un collettivo filogovernativo – sono state uccise a colpi di arma da fuoco negli scontri scoppiati al termine di una manifestazione. 

Tuttavia l’opposizione al governo di Maduro non risulta essere compatta.  Henrique Capriles Radonski, candidato sfidante di Maduro alle presidenziali del 2013, si è infatti rifiutato di partecipare alle proteste del 12 febbraio. L’altro leader dell’opposizione, Leopoldo López, ex sindaco di Chacao, ha invece sostenuto le manifestazioni. Il 13 febbraio il presidente Maduro ha per tale motivo emesso l’ordine di arresto per López. Le accuse vanno dall’incitamento alla violenza ai danni alla proprietà pubblica, dall’omicidio al terrorismo. Lopez si è comunque consegnato spontaneamente alle autorità il 18 febbraio.

Ieri intanto il ministro dell’Interno Miguel Rodríguez Torres ha annunciato l’invio di circa tremila soldati proprio a Tachira, dove sono cominciate le proteste.

Ma non è tutto. Maduro, dopo aver dato un ultimatum ai rappresentanti diplomatici americani di abbandonare il paese entro 48 ore, ha minacciato di bloccare le trasmissioni della rete satellitare statunitense Cnn nel Paese se questa non modificherà la propria programmazione.

“Occorre far cessare questa propaganda di guerra: guardo la Cnn nel mio ufficio 24 ore al giorno, si tratta di una programmazione di guerra, vogliono far credere al mondo che il Paese è in stato di guerra civile mentre in Venezuela la gente lavora”, ha dichiarato Maduro alla televisione pubblica venezuelana.

Già la settimana scorsa il governo venezuelano aveva bloccato le trasmissioni della rete colombiana Ntn24, accusandola di voler creare ‘timore’ nella popolazione diffondendo immagini di scontri e violenze dopo alcune manifestazioni dell’opposizione.

Il caso degli italiani arrestati

Ovviamente le tensioni sociali hanno conivolto anche la comunità italiana in Venezuela. I deputati del Pd eletti nella circoscrizione Estero, Fabio Porta e Marco Fedi, si sono interessati in questi giorni, su sollecitazione dei parenti residenti in Italia, di uno di questi casi. “Si tratta – spiegano Porta e Fedi – del signor Giuseppe Di Fabio, in possesso sia della cittadinanza venezuelana che italiana, consigliere comunale di ‘Voluntad Popular’, una formazione di opposizione, a Maneiro, nell’isola Margarita. Il signor Di Fabio è stato arrestato dalla polizia locale assieme a sei altre persone il 3 febbraio scorso con l’accusa di avere partecipato alle manifestazioni di protesta avvenute davanti all’Hotel Venetur, dove alloggiava la squadra cubana di baseball. Le imputazioni mosse dal procuratore contro Di Fabio sono di preoccupante pesantezza: associazione a delinquere, istigazione alla violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Si tratta di accuse che comportano condanne a diversi anni di carcere per vicende che comunque attengono a semplici manifestazioni di protesta. I legali di Di Fabio eccepiscono l’assoluta estraneità dell’italo-venezuelano e si dicono in possesso della documentazione comprovante la presenza di Di Fabio in zone molto lontane da quelle dove la protesta si è verificata. Intanto, gli arrestati sono tenuti in prigione, dove sono costretti a dormire per terra e ad alimentarsi di pane e acqua”.

“Sapendo la durezza del trattamento riservato ai prigionieri in simili casi e il rischio di eccessivo prolungamento del giudizio della magistratura – dichiarano i parlamentari – abbiamo interessato l’ambasciatore d’Italia a Caracas, dottor Paolo Serpi, affinché disponesse tutte le misure di protezione e di assistenza prevista dall’ordinamento a favore del Signor Di Fabio. L’ambasciatore, con apprezzabile sollecitudine, ci ha reso noto che il consolato generale di Caracas è in costante collegamento con i familiari e i legali di Di Fabio e che è già stata avanzata alle autorità locali la richiesta di visita consolare, nel corso della quale sarà possibile constatare lo stato di salute del connazionale e raccogliere le sue richieste. Crediamo che l’acutezza delle tensioni in atto in Venezuela inducano a coinvolgere, oltre alle autorità diplomatiche italiane, la più ampia opinione pubblica, affinché il signor Giuseppe Di Fabio e tutti gli altri che possano incorrere in analoghe situazioni – concludono Fedi e Porta – avvertano una corale solidarietà e, comunque, il sostegno del loro diritto di esprimere le loro convinzione nel rispetto dei principi fondamentali del diritto”. 

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