BAGHDAD – «Centinaia» di soldati iracheni sono stati impiccati o decapitati con esecuzioni sommarie durante l’avanzata degli jihadisti dell’Isil nel nord dell’Iraq nelle priovince di Dilaya, Kirkuk, Ninive e Salahaddin. Lo ha riferito il portavoce del governo iracheno per le questioni di sicurezza, generale Qassam Atta, fornendo la prima indicazione delle erdite patite dai militari di Baghdad.
Esercito Iraq al collasso
Nel frattempo arriva il primo resoconto dei consiglieri militari inviati dagli Stati Uniti in Iraq. Per i funzionari americani l’esercito del Paese è in profonda crisi, senza equipaggiamento e uomini, colpito da un eccessivo aumento di disertori. Secondo quanto riporta il Washington Post questa condizione non dà a Baghdad la forza necessaria per sferrare un contrattacco contro i ribelli jihadisti dell’Isis e recuperare le regioni cadute nelle mani degli islamisti.
I numeri sono impressionanti: oltre ai 10.000 disertori, l’esercito è sull’orlo di un «collasso psicologico», dicono i consiglieri militari di Obama. La disperazione ha raggiunto un livello così alto che il primo ministro iracheno, Nouri al-Maliki, sta reclutando volontari per rimpolpare l’esercito regolare. I civili vengono poi mandati sul campo di battaglia dopo una settimana di formazione sommaria. Dall’altra parte della barricata i combattenti dell’Isil (o Isis) continuano a rafforzarsi. E la maggior parte del loro equipaggiamento arriva dagli Stati Uniti, anche se il Pentagono ha fatto sapere di non poter dire con esattezza quanti e quali armi siano cadute nelle mani dei ribelli sunniti. «Il problema di fondo è che l’esercito iracheno è una formazione settaria», ha detto al Washington Post James Jeffrey, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Iraq. «Non hanno una formazione solida. Non hanno l’equipaggiamento e l’abilità che hanno i ragazzi [dell’Isil]», ha continuato.
Anche con l’aiuto dei consiglieri militari americani la situazione interna dell’esercito regolare iracheno non cambierà presto. I funzionari lavoreranno lentamente, con piccole unità a Baghdad. All’inizio infatti dovranno fare una perizia sullo stato delle forze del Paese, cercando di capire quali sono le vere necessità per ridare forza ai militari. Per questo secondo alcuni analisti e funzionari americani, solo un importante intervento esterno potrà ribaltare la situazione ed evitare il collasso dello Stato iracheno.
Lappello di Kerry
Gli Stati Uniti forniranno un sostegno «intenso e duraturo» alle forze di sicurezza irachene, ma chiedono ai leader politici di essere uniti contro la minaccia jihadista: è il messaggio lanciato dal segretario di Stato americano, John Kerry, al premier iracheno, Nuri al-Maliki, nel corso di un incontro a Baghdad. Un faccia a faccia senza tanti convenevoli, durato un’ora e 40 minuti, che è stato l’occasione per il capo della diplomazia Usa per fare pressioni a favore di una maggiore unità e inclusività delle forze politiche irachene che si dovrebbe tradurre in un governo di unità nazionale. «È un momento critico per il futuro dell’Iraq», ha avvertito Kerry, esortando i leader iracheni a «stare uniti contro i miliziani» dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). Da parte loro, gli Stati Uniti forniranno un sostegno «intenso e duraturo» alle forze di sicurezza irachene, per permettere loro di fronteggiare la minaccia. Nessun Paese, neanche gli Stati Uniti, ha il diritto di scegliere chi governa in Iraq, «questo spetta al popolo iracheno», ha sottolineato Kerry, respingendo nuovamente l’accusa di voler decidere il nuovo assetto iracheno. Nel corso dell’incontro, ha aggiunto, al-Maliki ha confermato il suo impegno a formare il primo luglio un nuovo governo.
Gli Stati Uniti hanno più volte ribadito che non invieranno uomini a combattere nel Paese mediorientale, dal quale si sono ritirati nel 2011, insistendo che la soluzione del problema non può essere esclusivamente militare. Finora, Washington si è limitata a inviare 300 militari, sottolineando più volte la necessità che Baghdad promuova l’unità tra le forze politiche irachene con un governo inclusivo. Sebbene abbia respinto l’accusa di voler decidere il nuovo governante iracheno, Washington ha di fatto abbracciato le critiche contro la politica settaria portata avanti dallo sciita al-Maliki, che si è alienato il favore di sunniti e curdi.