Turchia. Referendum, vince il sì, ma il Paese è spaccato in due

Saranno resi noti non prima di 10 giorni i risultati definitivi del referendum costituzionale sul superpresidenzialismo svoltosi ieri in Turchia, ma la commissione elettorale ha confermato la vittoria del ‘si”. Un successo di misura per Erdogan, con poco piu’ del 51% e un Paese spaccato in due. L’opposizione denuncia brogli sul 3-4% dei voti. Il presidente turco ha parlato di “decisione storica che tutti devono rispettare” e ha annunciato un possibile referendum sulla reintroduzione della pena di morte

ISTANBUL –  La riforma costituzionale per trasformare la Turchia in repubblica presidenziale, promossa dal presidente Recep Tayyip Erdogan, e’ stata approvata con il 51,3 per cento dei voti. Senza una maggioranza schiacciante il Partito per la Giustizia e lo sviluppo (Akp), al governo nel paese, supera dunque il test del referendum sulla riforma costituzionale, mentre per i risultati definitivi bisognera’ attendere i prossimi giorni e l’opposizione denuncia brogli. La partecipazione alle urne, riferisce la stampa di Ankara, si e’ attestata all’84 per cento dei 58 milioni degli aventi diritto di voto. Le modifiche della Costituzione, che potranno garantire al presidente Erdogan di rimanere presidente fino al 2029, sono state sostenute, oltre che dall’Akp, dal Partito del movimento nazionalista (Mhp), mentre il maggiore partito di opposizione – Partito popolare repubblicano (Chp) – si e’ opposto alla trasformazione della Turchia in repubblica presidenziale cosi’ come il Partito democratico dei popoli (Hdp). Tali modifiche entreranno in vigore nel 2019 a meno che non venga sciolto anticipatamente il parlamento. “Non c’e’ nessuno sconfitto, la Turchia ha vinto”, ha dichiarato il premier Binali Yildrim parlando da Ankara dopo la proclamazione dei risultati.

La riforma votata ieri prevede l’abolizione della carica di primo ministro, i cui poteri verranno attribuiti al capo dello Stato. Il nuovo presidente potra’ assumere tutti i poteri ora riservati al Consiglio dei ministri e avra’ la facolta’ di emettere decreti su diritti personali e liberta’ fondamentali. Il presidente sara’ eletto direttamente dal popolo, come peraltro e’ stato deciso in un referendum del 2007, per un massimo di due mandati e avra’ il potere di definire linee di politica interna ed estera, promulgare le leggi e di rimandarle alla Grande assemblea nazionale (il parlamento) per considerazioni e consultazioni. Il capo dello Stato potra’ nominare e rimuovere vicepresidenti, ministri ed ufficiali di alto livello, incluso il capo di Stato maggiore della Difesa. Sempre al presidente spettera’ la nomina di tre membri del Consiglio superiore della magistratura mentre il resto verra’ nominato dalla Corte di Cassazione e dal parlamento. Quest’ultimo sara’ portato da 550 a 600 membri e saranno eleggibili e quindi candidabili tutte le persone di eta’ superiore ai 18 anni (non piu’ 25). Le elezioni della Grande assemblea nazionale e del presidente si terranno contemporaneamente ogni cinque anni (non piu’ quattro). La riforma prevede inoltre l’abolizione delle corti militari. 

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