Yara. Il grido del tempo immobile

BERGAMO – Succede a volte al volgere dell’anno di girarsi indietro per cercare di scorgere, nel ricordo delle cose accadute, immagini ricordo di momenti intensi, di un evento, anche piccolo, di un suono o un sogno, che diano il senso al divenire del tempo e ci aiutino a separarci da esso.

Ma c’è un’immagine che da due giorni è scesa nello stomaco e lo stringe ogni volta che si ravviva.
Parliamo delle immagini rimaste nella mente che ci rammentano il video dove si scorgono i genitori di Yara Gambirasio, parlare ai microfoni e fare un disperato appello per riportare la loro figlia a casa.
Non ci si accorge subito di ciò che si è visto e udito, non ci si accorge subito del movimento dei loro corpi e della fisiognomica dei volti. Poi, le figure coscienti, messe li a decantare, lentamente rilasciano immagini latenti fuse con le sensazioni provate nel momento della percezione di un padre e di una madre che implorano “ la pietà di quelle persone che trattengono Yara” e chiedono loro di aprire “quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà”. Parole pesanti cariche di quella disperazione di chi è pronto a genuflettersi  anche davanti a un mostro: “ Noi vi preghiamo, ridateci nostra figlia, aiutateci a ricomporre il puzzle della nostra quotidianità, aiutateci a ricostruire la nostra normalità.”

Parole semplici e chiare che ora riscorriamo e rileggiamo, una, due, tre volte, e ancora,  forse per acquietare il turbamento che prende al ricordo di quelle due persone normali che entrano timidamente, dandosi la mano, nella squallida stanza dove seduti davanti ai microfoni dicono che vogliono solo Yara, per poter tornare alla loro quotidianità sconvolta e fatta a pezzi dalla sua sparizione.
Volgendosi col ricordo, a qui momenti, appaiono i loro volti, e si cerca di capire, tra le pieghe delle loro espressioni e dalle parole dette dal padre, cosa possano sentire questi due esseri umani da quando il loro tempo interno si è fermato quella sera d’inverno.
Si cerca di capire come sia possibile vivere la vita di tutti i giorni senza quel tempo che ci rende certi della nostra umanità quando possiamo donarne un poco a qualcuno che amiamo e che se ne va con lui quando scompare, lasciandoci una inspiegabile vuoto interiore e una sensazione di assenza incolmabili.
E si cercano le parole per dire ciò che si visto e ciò che si ‘vede’ pensando ai quei visi dove il tempo è paralizzato. Ma le parole sono povere, o avare, perché non ci aiutano a decifrare ciò che ci sgomenta quando pensiamo a quei volti nei quali si scorge il trattenuto grido del tempo immobile.

Gian Carlo Zanon

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