25 aprile. La Liberazione è di tutti ma non per tutti

ROMA – In un liceo romano, un gruppo di schiamazzanti e fastidiosi ragazzotti di destra ha preso in giro un anziano partigiano asserendo che quanto raccontava erano «favole».

Se accadono questi episodi, se oggi la memoria partigiana e, più in generale, la Resistenza sono sovente vituperate dai giovani lo dobbiamo a giornalisti come Giampaolo Pansa e ai suoi modesti libri sul «sangue dei vinti», una mistificante epopea sulle “vendette” dei partigiani, che in questo modo ha tentato di ridurre, senza peraltro minimamente riuscirci, un movimento armato di liberazione nazionale, che rappresentò il secondo Risorgimento italiano, in una faida gangsteristica.
Ma non solo, ovviamente. Lo spirito di destra, nel nostro Paese, è stato vivificato dal partito berlusconiano che, nella sua confusa ed ambigua ideologia, ha consapevolmente valorizzato messaggi, idee, progetti autenticamente fascisti. Lo dimostrano le dichiarazioni che sono consentite, purtroppo, a personaggi come Francesco Storace che, il giorno della sua morte, ha definito l’eroe di via Rasella Rosario Bentivegna un «assassino», senza spendere una parola sui criminali nazisti che sterminarono 335 inermi cittadini romani alle Fosse Ardeatine. Lo dimostrano personaggi come l’ex ministro della difesa Ignazio La Russa o il capo dei senatori berlusconiani Maurizio Gasparri, che da anni cercano in tutti i modi di far approvare in Parlamento una legge che equipari i partigiani ai fascisti repubblichini alleati dei nazisti, che fornirono un decisivo contributo allo sterminio degli ebrei italiani nei campi di concentramento tedeschi.

Nulla di tutto questo è consentito in Germania, dove nessun partito, a parte pochi sparuti movimenti neonazisti guardati giustamente a vista dalla polizia, si sognerebbe di suscitare nostalgia per il passato regime hitleriano e per le sue criminali azioni belliche. Proprio in Germania, come noto, non ci fu un movimento di liberazione nazionale, a parte il fallito attentato dinamitardo organizzato da Claus Schenk von Stauffenberg, contro il fuhrer il 20 luglio 1944, in rappresentanza di un’aristocrazia militare che agognava il ritorno alla monarchia degli Hohenzollern.

In Italia, al contrario, ci fu un movimento di Resistenza, esteso soprattutto nel centro e nel Nord alpino, con la formazione di brigate militari in rappresentanza dei rinati partiti politici che mantenevano il legame con gli Alleati in rapida avanzata dal Meridione liberato. Ma è proprio questo incontrovertibile fatto storico che, nel nostro Paese, è stato sovente negato, o sminuito dalla destra revanscista. Silenti nell’immediato dopoguerra, per paura di un ripensamento dei partiti che avevano voluto una troppo generosa amnistia, che salvò centinaia di criminali fascisti dai plotoni di esecuzione, gli eredi del mussolinismo non si limitarono a concentrarsi nel Movimento sociale italiano (partito fondato da due stretti collaboratori dei nazisti nell’Italia occupata, Giorgio Almirante e Pino Romualdi), ma diffusero le proprie idee in modo concentrico, con una certa presa sulle “maggioranza silenziosa” e sugli ambienti confindustriali. Fu così che la destra revanscista instillò nell’opinione pubblica, grazie a giornali e televisioni compiacenti, sempre più dubbi sulla consistenza del movimento resistenziale e antifascista. Il leit-motiv di tali argomentazioni si fondava principalmente sul fatto che «sono stati gli americani e gli inglesi a liberare l’Italia», negando la verità storica del contributo fattivo dato dalla Resistenza al depotenziamento delle truppe naziste sul territorio nazionale.

Nel pieno delle maggioranze berlusconiane, con i La Russa e i Gasparri oramai al potere, si è cercato di fare ancora di più. Tentativi maldestri e subdoli di cancellare il passato, o addirittura le festività come quella del 25 aprile, proprio per dare un ulteriore segnale di cambio di rotta, il ricorso a indecorose ed abusate ricostruzioni “storiche”, ovviamente false, sull’attentato di via Rasella e sulla “inevitabilità” della rappresaglia dei criminali nazisti, tutta addebitabile, per la propaganda neofascista, ai partigiani comunisti. È così che il 25 aprile ha continuato ad essere una “festa di parte”, accusata di dividere invece che di unire, secondo le mistificazioni di chi quella festa non l’ha mai voluta perché non ha mai ammesso la sconfitta davanti alla storia.
Invece il 25 aprile c’è ed oggi sarà festeggiato dalla maggioranza del popolo italiano, nel nome dell’antifascismo e della Costituzione repubblicana. Non importa che sia una festa che ancora divide gli italiani, perché sarà sempre impossibile unirsi con chi non riesce a rinnegare il fascismo e il nazismo, mali assoluti del Novecento.

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