ROMA – Ripugnante. Non potrebbe essere definito diversamente il comportamento del governo italiano verso la crisi libica.
Oggi i buffoni travestiti da ministri, che col loro servilismo cinico hanno contribuito a rafforzare il dittatore grottesco e delirante, col medesimo servilismo interessato si schierano dalla parte dei severi censori atlantici del Colonnello. Come tutti i servi eccedendo in piaggeria, sono i primi a invocare l’utilizzo della forza contro il vecchio alleato, pronti a mettere a disposizione le basi militari italiane: come quegli scolaretti secchioni che alzano la mano prima ancora che il maestro abbia formulato la domanda. Neppure sanno celare il vero scopo della “missione umanitaria” per “contribuire al rimpatrio sicuro dei cittadini fuggiti dalla Libia”: parole di Frattini. Più grossolano come sempre, Maroni non ha pudori lessicali: forniremo mezzi e personale di polizia, dichiara, per controllare i porti tunisini allo scopo di prevenire l’esodo di massa verso l’Europa. E poi chissà: da cosa nasce cosa, dalla missione umanitaria è facile scivolare verso la guerra umanitaria.
L’attitudine è sempre quella: da imbonitori politici privi d’ogni senso di coerenza e dignità, pronti a strumentalizzare ogni evento chiamandolo flagello per creare l’allarmismo utile a distrarre i cittadini italiani dal flagello che essi rappresentano. Non sia mai, mica si rimboccano le maniche per affrontare con razionalità e rispetto dei diritti l’arrivo dei profughi: il massimo che sanno concepire è sbatterli in qualche orrendo lager. Né si preoccupano d’essere diventati lo zimbello d’Europa. I quotidiani francesi non smettono di censurare l’”ingiustificabile messaggio xenofobo rivolto dal governo Berlusconi ai suoi elettori, malcelato dietro l’allarmismo dell’invasione” (editoriale di Le Monde, 26 febbraio). E si fanno canzonare, i “nostri”, da questo e quello senza fare una piega: alcuni giorni fa il ministro svedese si è preso gioco di Frattini, ricordandogli che l’anno scorso, quando la Svezia accolse 32 mila richiedenti asilo su una popolazione di 9 milioni di persone, a nessuno venne in mente di usare espressioni come “catastrofe epocale”.
Un amico di Gerba, Nasser Bouabid, in un articolo per Le Temps del 1° marzo, ha raccontato come le autorità e le popolazioni tunisine cerchino di fronteggiare l’afflusso al confine degli ormai centomila fuggiti dalla Libia per tornare ai loro paesi. Ha descritto la calma e il senso di umanità dei soldati, la gara di solidarietà degli abitanti dei poveri villaggi della zona che portano ai fuggitivi cibo e coperte, la requisizione immediata di ogni edificio utile a offrir loro riparo: alberghi, case della cultura, dormitori di licei, dimore private rimaste inabitate…Questo accade nella Tunisia stravolta dalla rivoluzione dei gelsomini, immersa in una fase di transizione difficile e dall’esito insicuro, impoverita dagli sconvolgimenti recenti e soprattutto dal crollo del turismo, principale risorsa economica del paese. Invece, nell’Italia berlusconiana, in cui l’indegno capo dello stato sperpera centinaia di migliaia di euro per mantenere le sue favorite, dissipando a margine per tal scopo anche denaro pubblico, “solidarietà” è parola del tutto desueta. Anche “politica” lo è, in realtà. Che politica è infatti quella di chi non ha saputo prevedere il fuoco che covava sotto la cenere delle dittature che andava coccolando? E può chiamarsi politica l’atteggiamento di chi non è sfiorato dal sospetto che non si può impedire con la forza la fuga a chi ha già sperimentato che ribellarsi è giusto e possibile? C’è da compiangerli: i “nostri” ignorano che le rivoluzioni arabe hanno già deciso che viviamo in un unico spazio euromediterraneo. Bisognerebbe dirglielo: la Fortezza Europa è già crollata.