“Il nostro tempo è adesso”. Il popolo dei precari alza la testa. Le foto

La galleria fotografica

ROMA – Vite precarie. Vite “a chiamata”. Alessio, 33 anni, lavoratore interinale al porto di Civitavecchia: “Ieri sono stato chiamato alle 18.20. Ho attaccato alle 19 e ho finito alle 20.15”. Alessio ieri ha lavorato un ora e un quarto per guadagnare poco più di 7 euro. Per lui sta per cominciare il quarto anno da interinale.

Daniele è siciliano, coetaneo di Alessio, da 5 anni in Alitalia, al movimento carichi. “Carico e scarico bagagli – racconta – Se mi va bene lavoro 8 mesi l’anno. Ad esempio, novembre, dicembre e gennaio sono stato a casa. Natale senza mangiare”.
Oggi, 9 aprile, a Roma così come in altre decine di città italiane si è svolta la prima grande manifestazione dei precari e delle precarie. Alessio e Daniele sfilano nell’assolata capitale per denunciare l’insostenibilità della loro condizione lavorativa, sempre instabile, sempre incerta. “Prospettive zero”, un refrain che ritorna.

Ma quanti sono gli “atipici” nel nostro paese? Un milione e mezzo nella fascia d’età tra i 15 e i 34 anni. Forse il doppio se si considera il totale degli occupati. In piazza è rappresentata più di una generazione.
Ida solleva un cartello che attira l’attenzione dei fotografi: “Santa Ida martire. Giornalista precaria dal… 1979”. Catanese, 55 anni con una figlia di 27. Ha iniziato con Diario, poi il Giornale del Sud di Giuseppe Fava e ha collezionato una sfilza di collaborazioni: Repubblica, Avvenire, Donna Moderna, per citarne alcune. Sempre senza contratto. Sempre pagata ad articolo. Unico inquadramento, un part time nell’ufficio stampa di Rifondazione per il breve periodo del secondo governo Prodi. Ora è disoccupata: “La devono smettere con le raccomandazioni – dice – devono premiare chi merita e garantire a tutti i versamenti per la pensione, la malattia e la maternità. Io ho cresciuto una figlia senza avere nessun diritto, se non lavoravo non mangiavo”. Ascoltare la sua storia da un senso ancora più forte allo slogan della manifestazione: “Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta”.

Da Piazza della Repubblica, il corteo muove verso Piazza Vittorio. A Piazza dell’Esquilino, tende sotto l’obelisco. Due ragazze reggono uno striscione: “Chi non ha casa inTenda”. Luigi sta seduto su di un tappeto come se si stesse rilassando in un salotto. Una coppia mangia al tavolo di una cucina immaginaria. E poi tutt’intorno oggetti di casa, sedie a sdraio, lo stendino per i panni. E’ un’istallazione che parla di emergenza abitativa e affitti alle stelle, ovviamente in nero. Vivere di precarietà è anche questo. Luigi paga 350 euro per una singola e si considera fortunato. Parla del “reddito di esistenza” norvegese e dei 210 euro mensili che in Spagna il governo concede come contributo per gli affitti: “In Italia siamo all’anno zero della democrazia”.

Continuità di reddito a fronte della discontinuità delle remunerazioni, sostegno all’abitare, sostegno alle coppie, tutte le coppie, alla maternità, una riforma degli ammortizzatori sociali. Insomma, chiedono un welfare realmente universale. E la possibilità di progettare il futuro e di definirsi, definire se stessi, una volta per tutte.

L’Europa è il termine di paragone impietoso e la meta per molti. 45.000 laureati ogni anno lasciano l’Italia. Ma in piazza sono scesi quelli che vogliono restare. “Non fateci (ri)diventare cervelli in fuga”. E’ la richiesta dei precari del Santa Lucia. Anche in questo caso storie di “stabile flessibilità”, si potrebbe dire. Antonella in 8 anni ha sperimentato tutte le tipologie contrattuali. Adesso ha una borsa di studio fino a dicembre. Ama il suo lavoro e non vuole andarsene: “la passione c’è” dice. Studia malattie neuro degenerative.

Davanti al Colosseo, quelli dell’Ispra, l’istituto per la ricerca ambientale, mettono in scena la morte della ricerca: sull’asfalto i corpi inermi, falcidiati dai tagli. Una strage di invisibili, con il volto coperto dalle inespressive maschere bianche che ormai abbiamo imparato a riconoscere. Un anno fa raggiunsero gli onori delle cronache per aver occupato il tetto del loro istituto per 60 giorni. Ed ora? Come è andata a finire? Risponde Filippo, precario da 4 anni, di recente declassato da tempo indeterminato a co.co.pro: “Abbiamo firmato un protocollo d’intesa con il ministero dell’Ambiente. C’è un accordo ancora non del tutto realizzato. Siamo a metà della strada e quindi dobbiamo continuare a lottare”.

In piazza anche i precari dell’Istat e quelli della scuola, gli studenti medi e universitari, giornalisti free lance, il mondo delle professioni, archeologi e avvocati, vincitori di concorsi pubblici in attesa di assunzioni. Un universo composito e variegato. I figli di oltre un ventennio di politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro, portate avanti indistintamente da governi di centro sinistra e centro destra. Un mondo multiforme che sembra aver cominciato a prendere coscienza di un destino comune. Contro l’individualismo che fa scuola dagli anni ’80. Contro tutte le narrazioni di uomini che si fanno da soli. Contro l’ipocrisia della retorica meritocratica della nostra classe politica. E contro tutte le solitudini nelle quali ci vogliono ingabbiare.

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