Berlusconi all’ultima battaglia. Ora punta su Giorgio Napolitano

ROMA – Silvio Berlusconi e i suoi gerarchi forse non sono mai stati così in difficoltà. I segnali erano inequivocabili quando, il 6 aprile, il premier accusò la procura di Milano di utilizzare gli stessi metodi delle Brigate rosse, poi il giorno successivo di considerare l’eventualità di una commissione parlamentare di inchiesta per accertare l’esistenza di un’associazione a delinquere costituita da magistrati per scalzare dalla sua poltrona il presidente del consiglio. Un nervosismo lampante, che metteva a nudo il volto predatorio del Cavaliere, quello denunciato per 17 anni dai suoi veri oppositori, fin da quando decise la “discesa in campo”.

LA DEBACLE DI MILANO. Ad aumentare la tensione c’è senza dubbio la situazione milanese, con una candidata a sindaco, Letizia Moratti, che non riscuote il consenso universale dei cittadini che votano a destra. Non è amata dalla Lega – questo lo si sapeva – ma nemmeno da una porzione rilevante del partito (ad esempio, quella che fa capo a Ignazio La Russa). Ora, il Cavaliere scopre che i sondaggi non si mettono bene ed anzi indicano la seria possibilità che la Moratti debba vedersela con Pisapia al ballottaggio, con esiti incerti. Come se non bastasse, è scoppiato il “caso Lassini”, il candidato nel “listino” che ha fatto scrivere e affiggere i manifesti-vergogna (“Via le Br dalle Procure”), forse l’atto più infamante mai compiuto dal berlusconismo morente. I gerarchi milanesi hanno compreso subito il pericolo: quei manifesti rischiano di rosicchiare una parte non trascurabile del voto moderato meneghino, scoprendo il vero volto del berlusconismo e del suo capo, cioè dell’autore originario di quell’accusa. Ora è scesa in campo direttamente la candidata a sindaco, dichiarando esplicitamente che o se ne va Lassini o se ne va lei, ma la frittata è fatta, anche perché è lo stesso sconosciuto candidato ad aver ammesso: “Ho solo ripetuto la frase pronunciata dal presidente del consiglio!”.

CONSENSI IN PICCHIATA. Il Caimano sente il fiato sul collo di quelli che lui chiama “i poteri forti”, che poi sono la Confindustria e piazzetta Cuccia, che andavano bene fin quando lo appoggiavano. E non gli sono sfuggiti i movimenti paralleli della cacciata di Cesare Geronzi dalle “Generali” (il banchiere di Marino era il punto di raccordo fra la finanza pro-berlusconiana e il Vaticano erede dell’andreottismo) e del sempre più accentuato ruolo politico di Luca Cordero di Montezemolo, il cui principale suggeritore ed amico, non a caso, è proprio quel Diego Della Valle cui si deve la primogenitura della battaglia contro Geronzi. Montezemolo e Pierferdinando Casini, l’uno per la sua parte, stanno tessendo una tela a maglie grosse con il compito di soffocare per sempre il berlusconismo, oramai considerato un deteriore freno alla stessa sopravvivenza del Paese sul piano internazionale. Come se non bastasse, sondaggi più credibili di quelli di Alessandra Ghisleri (la “personal pollster” di Berlusconi), danno il centro-sinistra oramai in vantaggio sulla destra (Pdl-Lega-Destra di Storace) e, tendenzialmente, in grado di aumentare il divario di voti.

L’ATTACCO AL QUIRINALE. Secondo i “retroscenisti”, Berlusconi in queste ore avrebbe messo a punto un passaggio cruciale della sua esistenza politica: un attacco frontale a Giorgio Napolitano. Ieri, il Presidente della Repubblica ha espresso chiaramente il suo pensiero sulle dichiarazioni del presidente del consiglio relative alla procura milanese, ricordando i nomi dei magistrati uccisi dalle Brigate rosse. Il Caimano non ha reagito, è rimasto silente. Poi ha impartito l’ordine: leggi ad personam, approvate entro maggio (processo breve, processo lungo e intercettazioni). Se, come forse è prevedibile, il Quirinale ne stopperà qualcuna, lui, entro 48 ore, le riapproverà, aprendo in questo modo il più grave conflitto della storia repubblicana, dopo la guerra civile successiva all’8 settembre 1943. La posta in gioco è il suo salvacondotto giudiziario, che passa proprio sull’avamposto del Colle nel 2013.

L’ULTIMA “PORCATA”. Al disegno predatorio manca un ultimo tassello, anche questo in costruzione: la riforma della legge elettorale. Berlusconi vorrebbe manometterla, con la modifica del premio di maggioranza al Senato, che ora si computa su base regionale e rende instabili le maggioranze. Forse è un azzardo, perché potrebbe anche favorire il centro-sinistra. Ma gli Alleati sono oramai sbarcati in Normandia e si dirigono a Roma. Non prima di essere passati per il bunker di Arcore. E il Cavaliere non vuole suicidarsi.

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