Cina. Al Jazeera cacciata. Per il governo di Pechino viole le norme

PECHINO (corrispondente) – L’ufficio di Al Jazeera English di Pechino chiude i battenti. Una decisione forzata, quella dell’emittente televisiva araba, dopo l’espulsione dalla Repubblica popolare cinese (Rpc) della sua corrispondente Melissa Chan, alla quale il governo cinese ha ripetutamente negato il rinnovo del visto rispondendo con un no secco alla sostituzione della giornalista con qualsiasi altro reporter.

Da Pechino non è stato ancora rilasciato nessuna spiegazioni ufficiale circa le ragioni che avrebbero portato le autorità ad allontanare la giornalista dal Paese, adducendo come unica giustificazione la “violazione di norme” non ben specificate, ma che tradotto dalla fumosa retorica di regime potrebbe indicare semplicemente un alto grado di disapprovazione del governo cinese verso il taglio investigativo portato avanti dalla Chan nei suoi servizi.

L’inviata di nazionalità americana lavorava in Cina dal 2007 ed era finita nel mirino delle autorità a causa di un reportage sui laogai -i gulag cinesi- pubblicato da Al Jazeer lo scorso novembre. Documentario, questo, al lavoro del quale la giornalista non avrebbe preso parte, ma che sommato alle inchieste su Liu Xia, moglie del dissidente Liu Xiaobo perseguitata dalle forze dell’ordine, e sui bambini rimasti vittime del terremoto del Sichuan, ha reso Chan un personaggio sgradito agli occhi di Pechino.

“Penso che il governo ci abbia concesso di operare in Cina perche’ convinto che avremmo avuto un atteggiamento soft nei suoi confronti” aveva dichirato la reporter dell’emittente araba in seguito alla realizzazione di alcuni documentari sugli incidenti avvenuti nelle miniere di carbone nel 2010 “credeva che fossimo un qualcosa di molto simile alla CCTV (la televisione di stato cinese), ma ben presto hanno capito che non era cosi’”.

La notizia dell’espulsione della corrispondente di Al Jazeera arriva in un momento particolarmente delicato: solo pochi giorni fa decine di giornalisti impegnati nella copertura del caso “Chen Guangcheng” sono stati convocati dal Dipartimento di Sicurezza e minacciati di vedersi revocato il visto, ad alcuni e’ stato anche confiscato temporaneamente il tesserino.

Secondo il Club dei corrispondenti in Cina (FCCC), negli ultimi 2 anni 27 giornalisti stranieri sono stati costretti ad attendere più di quattro mesi per poter ottenere i documenti necessari alla permanenza nella Rpc. “Questo è l’esempio più estremo che evidenzia la strumentalizzazione dei visti messa in atto nel tentativo di intimidire e censurare i giornalisti stranieri in Cina” ha dichirato lil FCCC. “Il rifiuto del visto a Melissa Chan indica un netto deterioramento nell’ambiente dell’informazione nel Paese, ed è un chiaro messaggio che la copertura internazionale non è gradita” ha dichiarato Bob Dietz, coordinatore del Commitee to Protect Journalists per l’Asia.

Era dal 1998 che dal Regno di Mezzo non venivano espulsi corrispondenti stranieri. Ultimi nomi noti quelli del giapponese Yukihisa Nakatsu di Yomiuri Shimbun, e del tedesco Juergen Kremb di Der Spiegel. A meta’ degli anni ‘90 Henrik Bork, direttore dell’ufficio di Pechino del Frankfurter Rundschau, si vide revocato il visto a causa della sua serrata critica contro l’allora primo ministro Li Peng. Riuscì a tornare in Cina soltanto una decina d’anni dopo. E nel 1991 era stata la volta di Andrew Higgins inviato dell’Indipendent e degli americani Alan Pessin e John Pomfret, corrispondenti rispettivamente di Voice of America e Associated Press. Al tempo il governo cinese non gradì il loro spiccato interesse per gli eventi di piazza Tiananmen.
Tornando ancora piu’ indietro nel tempo abbiamo i casi dell’inviato del New York Times, John Burns -allontanato dalla Cina perche’ pizzicato in zone del Paese ritenute off-limits per gli stranieri- e del nostro connazionale Tiziano Terzani, che nel 1984 fu messo agli arresti e spedito in un campo di rieducazione con l’accusa di aver intrapreso “attivita’ controrivoluzionarie.”

Ma se in prossimità delle Olimpiadi di Pechino del 2008 la stretta sui media vide un parziale allentamento, dalla “rivolta dei gelsomini” dello scorso anno -cui timidi strascichi sono arrivati sino alla Rpc-  il regime sembra aver riabbracciato la linea intransigente vecchio stampo. Nel giro di vite messo in atto dalle autorita’ alcuni giornalisti sono finiti in manette; un reporter americano e’ persino stato picchiato dalle forze dell’ordine finendo in ospedale.

E noto è il ruolo ricoperto da Al Jazeera durante le rivolte del Medio Oriente, che con il via libera del governo del Qatar intento a fare i propri interessi, aveva dimostrato il suo sostegno alla causa rivoluzionaria facendosi portavoce dei ribelli. “La voce dei senza voce”, come si definisce da sempre l’emittente di Doha, durante la Primavera araba non è stata esattamente un esempio di imparzialità. Proprio lo scorso settembre la Chan era incappata in diverse difficoltà nel tentativo di prendere parte ad un forum organizzato ad Urumqi, capitale della provincia autonoma dello Xinjiang: accredito stampa negato, interpreti introvabili, segnali che, letti a posteriori, confermano come il soggiorno cinese della giornalista fosse vicino alla fine

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