Naqba: Palestina in fiamme. Perché?

GAZA CITY – Ieri era la giornata ‘della Naqba’, ovvero ‘della catastrofe’ come i palestinesi chiamano la nascita dello Stato Israele nel 1948. Dalle notizie, colpevolmente  contradditorie, che giungono dalla Cisgiordania, sembra che l’esercito israeliano abbia sparato sui manifestanti palestinesi che, secondo il portavoce israeliano, tentavano di sconfinare dai confini della striscia di Gaza e da quelli di Libano e Siria, scandendo un grido di disperazione: “Con la nostra anima e con il nostro sangue, siamo pronti al sacrificio per la Palestina”.

La versione palestinese è diversa: quando la situazione è degenerata i manifestanti hanno iniziato a lanciare sassi contro i soldati israeliani dall’altro lato dei confini. A quel punto i militari israeliani hanno risposto aprendo il fuoco sulla folla.
Nelle prossime ore ne sapremo di più, non certamente dai media ‘ufficiali’ italiani, ma, come è ormai prassi consolidata, dal mondo internet. Intanto però ci si dovrebbe chiedere come mai, la manifestazione, che si ripete ogni 15 maggio, quest’anno, è finita nel sangue … dei palestinesi.

I motivi principali sono sostanzialmente due: il primo è dovuto alla riconciliazione fra Fatah e Hamas, che ha aperto nuovi scenari e nuove speranze per la creazione di un vero Stato palestinese. Salam Fayyad, premier dell’Autorità nazionale palestinese, in un’intervista al quotidiano progressista israeliano Haaretz, ha dichiarato che i palestinesi sono pronti a creare un proprio Stato perché sono finalmente riusciti a creare condizioni adatte: “Lo Stato palestinese nascerà a settembre. La missione è stata portata a termine. Se facciamo il paragone con la nostra situazione pochi anni fa, c’è stato un cambiamento totale. (…) Possiamo farcela”. Naturalmente questo scenario politico palestinese non è piaciuto al Berlusconi israeliano, Netanyahu, anche perché la situazione internazionale sta mutando, a causa del fallimento dei negoziati di pace, dovuto alla palese intransigenza dell’israeliano sulle colonie ebraiche in Cisgiordania. Questo naturalmente ha portato ad una estremizzazione della percezione israeliana sul ‘pericolo’ palestinese.

Percezione alterata della pericolosità che può aver armato ieri le mani dei militari alle frontiere.
Il secondo motivo è l’insorgenza nel mondo islamico dell’idea di ‘dignità umana’. “Dignità umana” è divenuta la parola chiave della primavera araba, senza la quale non sarebbe possibile decifrare le rivolte popolari in Tunisia, in Egitto e soprattutto in Libia. Ed è con questa potentissima arma che si riassume nel grido “Con la nostra anima e con il nostro sangue, siamo pronti al sacrificio per la Palestina”, che i palestinesi hanno manifestato ieri. Ieri nel sangue dei manifestanti  non scorreva l’odio per la creazione di Israele di 63 anni fa, scorreva la ribellione per uno stato di apartheid e di ignominia a cui sono sottoposti da quando dopo la ‘guerra dei sei giorni’ lo Stato di Israele ha di fatto inglobato la Cisgiordania.  Nel sangue dei manifestanti palestinesi scorrevano le immagini dei muri e dei check point che hanno mostruosamente mutato luoghi pieni di fascino e storia, inondandoli di dolore e di ingiustizia della illegalità dell’occupazione militare israeliana.

È chiaro che in questo clima provocato, sia dalla ‘primavera araba’, sia dalla storica riconciliazione fra Fatah e Hamas, vi sia un momento di estrema pericolosità, che ora, dopo l’uccisione e il ferimento di decine di persone accaduto ieri, diverrà esplosivo e causerà altra morte e distruzione.
L’estremizzazione di chi pensa, come il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, che Israele sia “una cellula cancerogena” da estirpare dal medio oriente e di chi vorrebbe fare pulizia etnica del popolo palestinese, può portare o al ripetersi del massacro di Gaza compiuto dagli Israeliani nel 2008, o ad una ribellione araba contro i coloni israeliani in Cisgiordania che occupano illegalmente i territori palestinesi.
Forse la ‘primavera araba’ non finirà con l’arrivo dell’estate.

 

 

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