Cambiano ancora le pensioni ma la lotta resta la stessa

ROMA – Come ampiamente annunciato fin dalla nomina della Fornero a Ministro del Lavoro e Politiche Sociali si chiude, con qualche anno di anticipo su quanto previsto dalla riforma Dini, l’età del retributivo e si apre per tutti i lavoratori il nuovo mondo del calcolo della pensione con il metodo contributivo.

Un primo effetto delle modifiche annunciate dalla Fornero è una certa semplificazione.

Scompaiono le anzianità, le finestre e le quote.

La pensione di anzianità scompare e viene sostituita da un trattamento anticipato cui si accede con 41 anni e un mese, le donne, o 42 anni e un mese, gli uomini, di contribuzione e 62 anni di età. Resta possibile accede al trattamento di pensione con il solo criterio degli anni di anzianità ma viene introdotto un decalage di 2 punti percentuali per ogni anno mancane al 62esimo di età. Questo decalage sarà di fatto limitato nella sua applicazione in quanto verrà calcolato solo sulla quota di pensione liquidata con il metodo retributivo, per coloro i quali hanno cominciato a lavorare dopo il 1995 e che hanno quindi già tutta la pensione calcolata con il metodo contributivo esso cesserà. Vengono abolite le finestre, quelle che ritardano l’effettivo godimento del diritto, ed il loro effetto è assorbito nei nuovi criteri d’accesso.
Vengono abolite le quote.

La nuova vecchiaia. Si fermano gli adeguamenti e flessibilità fino a 70 anni

Alla pensione di vecchiaia accederanno all’età di 66 anni gli uomini e 62 le donne. Entro il 2018 le donne si vedranno alzare l’asticella fino a 66 anni ed entro il 2022 gli uomini a 67 anni. Sia per gli uomini che per le donne sarà comunque necessario un requisito minimo di anzianità contributiva di 20 anni ed un livello minimo di assegno spettante pari ad 1,5 volte la ‘sociale’.
Ci sarà la possibilità di restare al lavoro fino ai 70 anni per ottenere un importo maggiorato della pensione; con l’applicazione del contributivo pro rata a tutti i lavoratori sarà quindi necessario estendere le tabelle dei coefficienti di trasformazione, ovvero quei numeri che vengono applicati ai montanti contributivi dei pensionandi per calcolare la pensione spettante, fino ai 70 anni.
Vengono interrotti gli adeguamenti degli assegni all’inflazione per la quota più ricca delle pensioni, dove per ricche si intendono le quote eccedenti l’importo di un po’ più di 900 euro mensili lordi. Fino a 930 euro si prosegue con l’adeguamento Istat mentre la parte eccedente non viene adeguata.
E’ di nuovo annunciata la creazione di una super Inps in cui confluirebbero Inpdap ed Enpals.

Effetti negativi ma restano le domande aperte sul Metodo Contributivo

Gli effetti di questa riforma sono depressivi da subito, limitare l’adeguamento Istat da un livello così basso di pensione comporterà ineludibilmente un impatto sul livello dei consumi. I pensionati a 1.000 euro a mese hanno infatti una elevatissima propensione al consumo, ovvero tendono logicamente a spendere tutto o quasi tutto il proprio reddito, e limitarne i redditi comporta un effetto negativo sul livello dei consumi che potrebbe arrivare a quasi azzerare il vantaggio derivante da una tale misura di austerity.
Soprattutto restano irrisolte le questioni di equità insite nella attuazione pratica del Metodo Contributivo. Restano adeguati in maniera fantasiosa e folcloristica i contributi che vengono accantonati anno dopo anno dai lavoratori, contributi che quest’anno, per la prima volta dall’introduzione della Riforma Dini nel 1995, saranno adeguati ad un tasso inferiore di quello dell’inflazione.
Resta inoltre irrisolta la questione delle tabelle dei coefficienti di trasformazione che tornano in gioco per effetto dell’allungamento dell’aspettativa di vita mentre ci si dimentica, dimentica?, che le tabelle scontano un tasso di sconto assolutamente irrisorio, l’1,5 per cento.

In conclusione

Questa riforma lascia i lavoratori in mezzo al guado, ormai privi di alcune garanzie che il sistema retributivo assicurava e ben lontani dai vantaggi che un sistema contributivo con una contribuzione elevata dovrebbe assicurare, a cominciare da un assegno pensionistico elevato e da una elevata flessibilità di accesso al trattamento.
L’equità era e resta un valore per cui sarà necessario lottare,

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