La ‘fabbrica dei disoccupati’. Aspiranti giornalisti in cerca di Editore. Intervista a Giuseppe Sicari

ROMA – “Nessuno ti garantisce nulla, così come quando ti inscrivi al corso di laurea in medicina, nessuno ti garantirà mai il posto di medico, lo stesso vale per i corsi di formazione o laurea in giornalismo. Anzi, quest’ultimi sono autentiche ‘fabbriche di disoccupati’”.

Così il professor Giuseppe Sicari – docente universitario del corso di laurea in Scienze delle Comunicazioni e giornalista RAI per 35 anni –  definisce le scuole che formano gli aspiranti giornalisti all’esame di stato. Una speranza ed un’aspettativa – quella di esercitare la professione di giornalista – che spesso viene disattesa. La domanda che ci si pone è questa: vale allora la pena spendere fino a 15 mila euro (costo, per esempio, di un master in giornalismo presso una nota università del Lazio) per abilitarsi come giornalista? Chi garantisce che dopo una spesa simile si possa lavorare ed essere soprattutto remunerati come giornalisti? Nessuno, appunto.

“C’è stata una lunga trattativa tra la FIEG (Federazione Italiana Editori e Giornali) e gli Ordini dei giornalisti – continua il prof. Sicari – dove quest’ultimi cercavano di trovare un accordo con la federazione per costituire delle scuole di giornalismo, da gestire insieme, col fine di preparare i futuri giornalisti secondo i criteri che agli editori servivano. Ma quest’ultimi, al termine della trattativa, decisero di non dare luogo a questa iniziativa preferendo la formazione dei giovani direttamente nelle loro strutture, perché ogni editore ha esigenze diverse. Così, l’Ordine dei giornalisti è andato avanti per conto suo proponendo delle convenzioni con alcune Università italiane. Gli attuali corsi di laurea in giornalismo sono proprio il frutto di questa realtà. Alla fine del corso, i laureati potranno sostenere l’esame di stato e, in caso di superamento dello stesso, conseguire il titolo di giornalista professionista. Sei un giornalista ma non hai l’assunzione. Ecco perché ‘fabbrica di disoccupati’. Se le aziende giornalistiche avessero accettato di attingere da questo bacino di abilitati, allora sì che questa poteva essere una buona soluzione”.

Giovani, giornalisti e disoccupati, che per trovare sbocchi dove liberare il proprio sogno, trovano maggiore spazio sul web, scrivendo sì su testate giornalistiche ma on-line. E così sulla rete internet, si affollano migliaia di giornali. Pensando a ciò, è possibile ipotizzare una diversa e più accurata redistribuzione del finanziamento pubblico alle testate giornalistiche?  

“Penso che in linea di principio sia giusto ma credo che per far ciò si dovrà arrivare con una decisione politica, una trattativa a cui dovranno partecipare tutte gli interessati. Però, immagino che le parti interessate all’interno della FIEG – televisioni, quotidiani, periodici ecc. – saranno riluttanti a perdere una fetta dei proventi che, allo stato attuale, ottengono. Per cui ci sarebbe bisogno sicuramente di una trattativa. Lo stesso discorso si è verificato con la pubblicità. Esiste una grande polemica tra carta stampata e televisione perché quest’ultima, negli ultimi anni, l’ha fatta da padrona, rastrellando forse l’80% della torta pubblicitaria, mentre prima avveniva il contrario”.

In considerazione del fatto che gran parte della popolazione, soprattutto i giovani, si informa attraverso il web – mediante i più disparati mezzi tecnologici come tablet, telefonini e PC – pensa che assisteremo quanto prima ad un sorpasso definitivo dell’informazione on-line sulla carta stampata e, a quel punto, come se lo immagina il futuro?

“Su questo si sbizzarriscono gli esperti. C’è qualcuno che ha già preventivato la scomparsa del giornale stampato ma penso che invece resisterà ancora a lungo perché è ancora numeroso il pubblico che ama la materialità della carta. Devo dire che personalmente mi sono accorto del fenomeno quando qualche anno fa, all’inizio di ogni anno accademico, cercavo di interrogare i miei studenti per capire quale fosse la loro dieta mediatica. Con mio grande sgomento scoprii che nessuno, o quasi, leggeva un quotidiano, che pochi seguivano la televisione e che qualcuno ascoltava la radio. La quasi totalità degli studenti, invece, si informava attraverso il web. Quindi il fenomeno c’è, non si può negare.”

A sottolineare ciò, il professor Sicari cita un fatto avvenuto in Giappone con il quotidiano Ashaki Shinbun, il maggiore del Paese del Sol Levante con12 milioni di copie di tiratura, il doppio di quelli che ci sono in Italia considerando tutti i giornali messi insieme.

“La sua edizione on-line, a seguito di una rilevazione effettuata nell’arco di un anno, è  risultata, a livello di diffusione, quasi pari a quella della carta stampata, senza però perdere copie”.

Insomma, un passo avanti per il web ma evidentemente non ancora sufficiente. Nell’immediato futuro quindi non si prospetta questo sorpasso; la carta stampata, nonostante tutto, resisterà ancora?

“Certamente, però è anche vero che stiamo diventando sempre più multimediali. A casa, la mattina mentre ci prepariamo, ascoltiamo la radio, poi accendiamo la TV e vediamo i canali all news,  cerchiamo le notizie sul televideo; quando usciamo, sul tram, sul bus o in treno leggiamo un giornale e poi magari in ufficio ci informiamo su internet”. Il professore continua, spiegando meglio il concetto raccontando che “in occasione di una visita con gli studenti presso la sede del Tg1, nella sala riunioni, oltre ai diversi canali di informazione internazionale – come ad esempio la CNN – c’erano anche altri monitor che visualizzavano i maggiori quotidiani on-line che si aggiornavano di continuo. L’informazione di un giornalista è a 360 gradi e comprende quindi anche la parte web.”

Proprio il web è il mondo ed il modo attraverso il quale molti aspiranti giornalisti pubblicisti stanno o stavano tentando tale percorso scrivendo su testate giornalistiche on-line. La voce che circola e che sta diventando una certezza nell’ambito dell’attuazione della Legge di Stabilità del nuovo governo Monti, riguarda l’abolizione della figura del giornalista pubblicista. Se ce ne sono, quali alternative si possono immaginare, allo stato attuale, per chi vuole o stava intraprendendo questo percorso?

“Penso che il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti studierà, come sta facendo, il problema e cercherà di trovare le giuste soluzioni rispettando tutte le esigenze. C’è anche un’altra esigenza, quella di uniformare il nostro modus operandi agli standard degli altri Paesi europei. Per esempio, in Spagna, per diventare avvocati, si segue un iter più snello e più rapido rispetto a quello stabilito in Italia. Per questo motivo, ci sono molti studenti che stanno andando all’estero per abilitarsi come avvocati per poi ritornare in patria facendosi riconoscere il titolo conseguito. Non è possibile che in Europa ci sia tale diversità, almeno all’interno della comunità europea dovremmo arrivare ad una omogeneizzazione dei percorsi di studio, di formazione e di abilitazione”.     

Giuseppe Sicari
Giornalista, per 35 anni alla Rai dove è stato caporedattore “cultura  e spettacoli” del TG1, ha curato le rubriche “Prisma” e “Primissima”.
Titolare dell’insegnamento di “Linguaggi audiovisivi al corso di laurea in “Scienze della Comunicazione” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della Tuscia, a Viterbo.
Molti i suoi lavori trasmessi dalla televisione e gli articoli pubblicati da quotidiani nazionali.
Libri pubblicati:
Un libro di racconti, “Le occasioni mancate”,
una biografia di Pio IX,
un manuale di Teorie e tecniche della comunicazione audiovisiva, “Forme e suoni nell’etere”,
un saggio di toponomastica siciliana, “Cognomi e nomi tra capo e naso”,
un romanzo, “Gelsomina di Sicilia”,
L’ultimo romanzo è “Il santo marrano”

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